RIMETTETEVI LA DIVISA!
Decine di poliziotti e
carabinieri sono stati ieri costretti a togliersi la divisa e presidiare il
territorio in abiti borghesi per non infastidire, nel quartiere al più alto
tasso di camorra di Napoli, i partecipanti ai funerali di Davide Bifolco, il
ragazzo morto per un colpo partito dalla pistola di un carabiniere che stava
cercando di fermarlo dopo che lui – sulla stessa moto con altri due amici e
senza casco – aveva forzato un posto di blocco.
carabinieri sono stati ieri costretti a togliersi la divisa e presidiare il
territorio in abiti borghesi per non infastidire, nel quartiere al più alto
tasso di camorra di Napoli, i partecipanti ai funerali di Davide Bifolco, il
ragazzo morto per un colpo partito dalla pistola di un carabiniere che stava
cercando di fermarlo dopo che lui – sulla stessa moto con altri due amici e
senza casco – aveva forzato un posto di blocco.
Capiamo le esigenze di evitare
incidenti, ma la questione non può essere soltanto tecnica e la spiegazione che
la vista delle stellette poteva essere vissuta come una provocazione è
inaccettabile. Lo Stato che rinuncia a mostrarsi in uniforme nel quartier
generale della camorra è uno Stato che batte in ritirata. È vero che la morte è
un lavacro purificatore, per di più se di un ragazzo. Ma è anche vero che
Davide Bifolco non è un martire né un eroe. È vittima di un mondo marcio che lo
aveva convinto che era possibile sfidare nella notte, senza nulla rischiare, le
leggi, i posti di blocco e l’ultimo disperato «alt» di un altro giovane che era
lì in divisa, a rischiare la vita per conto dello Stato.Ieri, con quei
carabinieri in borghese, la camorra – e quel mondo complice che le gira attorno
– ha vinto un’altra battaglia: qui comandiamo noi, lo Stato e i suoi simboli
stiano alla larga. Per chi porta la divisa deve essere stato umiliante, come
quando l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti intitolò un’aula di
Montecitorio a Carlo Giuliani, quello ucciso al G8 di Genova da un carabiniere
a cui stava per spaccare la testa con un estintore. Ieri uno Stato forte
avrebbe imposto la sua presenza e garantito, come è, un processo giusto ai
parenti della vittima, al carabiniere che ha sparato e a tutti noi italiani. Ma
si sa, siamo il Paese dei compromessi e delle scappatoie. Come quella trovata
per riportare a casa (per quattro mesi), Massimiliano Latorre, uno dei due marò
ingiustamente detenuti in India. Ce lo siamo ripreso, per gentile concessione
indiana, con un certificato medico e l’impegno a curarlo e restituirlo un po’
meno malconcio. Anche in questo caso gli abbiamo tolto la divisa, il rispetto,
i diritti e l’onore che derivano dall’indossarla. Latorre non è un povero
malato, come i carabinieri di Napoli non sono dei criminali. Sono soldati,
parola purtroppo desueta in questa Italia che ogni giorno perde un pezzettino
di onore. E che se restituirà Latorre agli indiani lo perderà del tutto.
incidenti, ma la questione non può essere soltanto tecnica e la spiegazione che
la vista delle stellette poteva essere vissuta come una provocazione è
inaccettabile. Lo Stato che rinuncia a mostrarsi in uniforme nel quartier
generale della camorra è uno Stato che batte in ritirata. È vero che la morte è
un lavacro purificatore, per di più se di un ragazzo. Ma è anche vero che
Davide Bifolco non è un martire né un eroe. È vittima di un mondo marcio che lo
aveva convinto che era possibile sfidare nella notte, senza nulla rischiare, le
leggi, i posti di blocco e l’ultimo disperato «alt» di un altro giovane che era
lì in divisa, a rischiare la vita per conto dello Stato.Ieri, con quei
carabinieri in borghese, la camorra – e quel mondo complice che le gira attorno
– ha vinto un’altra battaglia: qui comandiamo noi, lo Stato e i suoi simboli
stiano alla larga. Per chi porta la divisa deve essere stato umiliante, come
quando l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti intitolò un’aula di
Montecitorio a Carlo Giuliani, quello ucciso al G8 di Genova da un carabiniere
a cui stava per spaccare la testa con un estintore. Ieri uno Stato forte
avrebbe imposto la sua presenza e garantito, come è, un processo giusto ai
parenti della vittima, al carabiniere che ha sparato e a tutti noi italiani. Ma
si sa, siamo il Paese dei compromessi e delle scappatoie. Come quella trovata
per riportare a casa (per quattro mesi), Massimiliano Latorre, uno dei due marò
ingiustamente detenuti in India. Ce lo siamo ripreso, per gentile concessione
indiana, con un certificato medico e l’impegno a curarlo e restituirlo un po’
meno malconcio. Anche in questo caso gli abbiamo tolto la divisa, il rispetto,
i diritti e l’onore che derivano dall’indossarla. Latorre non è un povero
malato, come i carabinieri di Napoli non sono dei criminali. Sono soldati,
parola purtroppo desueta in questa Italia che ogni giorno perde un pezzettino
di onore. E che se restituirà Latorre agli indiani lo perderà del tutto.