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Poliziotta fa balletto in divisa, video sui social: sospesa dal Ministero. Reintegrata dal TAR

Nel novembre del 2019 la ricorrente, agente della Polizia di Stato, veniva convocata presso la scuola allievi di Caserta al fine di frequentare un corso di formazione professionale per appartenenti ai gruppi sportivi restituiti ai ruoli ordinari.

Durante una pausa dal corso, in data 4 febbraio 2020, venivano realizzati dei video con il telefono cellulare di proprietà della ricorrente, in cui essa ricorrente compariva unitamente ad una collega, ambedue in divisa, esibendosi in un duetto e in una sorta di balletto.

 I due filmati – di 15 secondi e 13 secondi l’uno – venivano caricati sul social network denominato “Tik Tok” e, dunque, diffusi sul web, benché rimossi dopo poche ore dalla loro pubblicazione, suscitando taluni commenti negativi da parte di utenti. Il giorno successivo la ricorrente veniva convocata dal direttore della Scuola Allievi Agenti di Caserta che provvedeva a richiamarla oralmente per il comportamento tenuto.

In data 7 febbraio 2020, indi, dietro proposta del direttore del centro polifunzionale – scuola tecnica di polizia del 6 febbraio 2020, il resistente Ministero provvedeva a sospendere cautelarmente dal servizio la ricorrente ai sensi dell’art. 92 del DPR 3/57, atteso che i filmati in questione “mostrano la dipendente esibirsi in uniforme in atteggiamenti indecorosi”, non consoni allo status di appartenente alla Polizia di Stato, “suscitando commenti di utenti del web lesivi dell’immagine dell’Istituzione”.

La ricorrente impugnava quindi il provvedimento dell’Amministrazione, sottolineando che la pubblicazione dei due video sarebbe avvenuta fortuitamente; e che comunque si sarebbe tempestivamente attivata per rimuoverli, altresì cancellando l’account sul social network in questione e rimuovendo la relativa applicazione dal proprio telefono cellulare.

Il TAR ha accolto il ricorso. In particolare, secondo i giudici:

– la condotta della ricorrente si è sostanziata nel consentire riprese filmate, di pochissimi secondi, che la ritraevano in uniforme e in atteggiamenti ludici;

– la immissione sul web di tali filmati si è concretata per uno spatium temporis assai esiguo;

– la rimozione dei filmati e la cancellazione dell’account della ricorrente è avvenuta in tempi assai celeri;

– la ricorrente ha fornito oralmente delle giustificazioni – scarsa dimestichezza con l’utilizzo del dispositivo elettronico e, in particolare, del social network in questione- funzionali ad elidere ovvero a temperare il disvalore della condotta de qua.

Secondo il TAR, l’amministrazione può esercitare la sospensione dall’impiego solo ed esclusivamente nella ricorrenza di:

peculiari ragioni di celeritas ed urgenza, debitamente ed idoneamente rappresentate dalla Autorità, e giustificate in una ottica di non ritardabile protezione dell’interesse pubblico ad evitare la ulteriore presenza dell’agente in servizio;

pregnanti esigenze di tutela dell’apparato e della immagine del corpo ove la ricorrente è incardinata, perseguendo altresì l’interesse della Amministrazione preordinato ad assicurare che l’espletamento di compiti e mansioni particolarmente delicate sia affidato a personale dotato di peculiari caratteristiche di probità ed affidabilità; in tal guisa neutralizzando, anche in funzione precauzionale e cautelare, il pericolo e/o il rischio che alla Amministrazione possa rivenire dal mantenimento in servizio di un dipendente che non offra più le dovute garanzie al riguardo.

Secondo il TAR tali condizioni non sarebbero rinvenibili nella fattispecie che ne occupa, avuto riguardo:

i) al grado di disvalore della condotta, sotto il profilo oggettivo e soggettivo (in ragione del tempo limitato di diffusione dei filmati e del “ravvedimento” della ricorrente);

 ii) alla inesistenza di effettive ragioni di urgenza.

Il TAR ha dunque accolto il ricorso condannando il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese della fase di merito, che liquidatr complessivamente in € 3.000,00.

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