Perché ci sono sempre più suicidi di poliziotti e carabinieri
(di Davide Falcioni per Fanpage.it) – Due giorni fa il sottotenente dei Carabinieri di 55 anni Oscar Luciani, in servizio al Comando Provinciale di Fermo, si è tolto la vita sparandosi con la pistola d’ordinanza nel suo appartamento. Appena 24 ore prima era stata la volta di Rocco Servodio, agente di polizia di 50 anni in forza a Senigallia, che si è suicidato nell’abitacolo della sua auto parcheggiata in un belvedere a Capodarco, sempre nel territorio fermano. Il 25 maggio Andrea Fornaro, poliziotto di 23 anni, è stato trovato morto nel suo alloggio nel complesso della questura di via Gervasoni, ad Ancona: anche lui si era sparato con l’arma che gli era stata fornita in dotazione. Stessa modalità scelta, meno di un mese fa, dal carabiniere Andrea Giommi, 50 anni, che poco dopo essere entrato in caserma ha deciso di farla finita. Quattro suicidi in un mese nelle sole Marche tra poliziotti e carabinieri. Ma l’elenco dei membri delle forze dell’ordine che hanno deciso di uccidersi nei primi cinque mesi del 2022 è ben più lungo e composto da almeno 29 persone, tra uomini dell’Arma (la maggioranza), agenti di polizia, finanzieri e soldati in forza nell’Esercito Italiano. Una vera strage che sarebbe fin troppo semplicistico attribuire allo stress e ai bassi stipendi: in nessun’altra professione in Italia si riscontra un simile tasso di suicidi, neppure in quelle in cui il precariato e lo sfruttamento sono la regola.
Suicidi, l’esperto: “Per carabinieri e poliziotti elevato livello di angoscia”
Che succede, quindi? Non è facile fornire una risposta univoca, perché sono molti i fattori che possono indurre un uomo o una donna a farla finita. Di certo, però, c’è qualcosa che non funziona se nei corpi dello Stato chiamati a garantire la sicurezza dei cittadini gli stessi operatori arrivano così sovente a rivolgere un’arma contro se stessi. Il dottor Marco Strano, Direttore del Dipartimento di Psicologia Militare e di Polizia di UNARMA e Presidente di Italian Thin Blue Line, conferma che stress lavorativo e salari bassi non c’entrano molto. “Il nostro è un lavoro faticoso, ma non più di altri che hanno un tasso di suicidi ben più basso. Il problema è che si tratta di un comparto con un elevato livello di angoscia legato non solo alla nostra attività professionale, ma anche ad altri fattori: la disorganizzazione ostacola la vita familiare, è spesso estremamente difficile organizzarsi per stare con i propri cari perché, molto banalmente, i turni sono organizzati molto male. Inoltre ci sono frequenti trasferimenti da una città all’altra, e questo è un altro grosso problema per chi ha famiglia”.
Poliziotti e carabinieri: “vietato” essere fragili
La disorganizzazione del lavoro contribuisce a causare stati di forte angoscia, dunque. Ma se un “civile” che attraversa un periodo di difficoltà può normalmente rivolgersi a uno psicologo per un consulto, ciò è molto più complicato per carabinieri e poliziotti. Spiega sempre il dottor Strano: “In Italia, secondo le statistiche, circa 3 persone su 10 vivono stati di angoscia, ansia o depressione. Se vogliono, possono richiedere aiuto. Per i membri delle forze dell’ordine è più difficile farlo, perché si va incontro alla sospensione dal servizio e al demansionamento a ruoli non operativi. Questo non accade solo al cospetto di malattie o disturbi gravi, per i quali provvedimenti di questo genere sono sacrosanti, ma anche per piccoli disturbi come uno stato di ansia per la malattia di un figlio o la separazione da un coniuge”. A poliziotti e carabinieri è richiesto di essere sempre al 100% dal punto di vista psicologico, ma il numero dei suicidi degli ultimi anni ha fatto suonare qualche campanello d’allarme anche ai “piani alti”: per questo sono stati organizzati servizi interni di supporto psicologico che, tuttavia, il più delle volte vanno deserti. “Ho fatto per anni quel lavoro, e nessuno si è mai rivolto a me. Quei servizi sono stati concepiti non con l’intento di offrire un sostegno, bensì di individuare i soggetti più fragili e allontanarli. Il risultato? Che carabinieri e poliziotti preferiscono convivere con i loro problemi piuttosto che rischiare di perdere il lavoro. Molti non reggono, purtroppo, e decidono di farla finita”.
Quanto conta lo strapotere dei comandanti
Un capitolo a parte lo merita il rapporto tra comandanti e sottoposti. “Alcuni regolamenti – spiega Strano – sono ancora oggi simili a quelli in uso nel 1800: i superiori potevano tutto e i sottoposti non avevano nessuna possibilità di opporsi ai loro ordini. In parte è ancora così, e capita che i comandanti allontanino personaggi percepiti come ‘scomodi’ o polemici utilizzando talvolta pretesti di natura psicologica. Di fatto il regolamento disciplinare nelle forze di polizia consente un controllo totale della vita del sottoposto, a cui volendo si può facilmente rovinare la carriera. Basta dichiararlo inidoneo al servizio, pur senza una vera e propria diagnosi effettuata da uno specialista. Naturalmente questa possibilità è fonte di grande angoscia”. Per questo da tre anni il dottor Strano presiede The Italian Thin Blue Line, associazione indipendente da Amministrazioni pubbliche e Corpi di polizia che offre riservatamente e gratuitamente un supporto psicologico in forma anonima a carabinieri e poliziotti che sentano il bisogno di aiuto, ma non vogliano correre il rischio di incorrere in sospensioni immotivate e arbitrarie.
“Eccesso di virilità e stigmatizzazione verso ogni differenza”
C’è poi il fattore culturale. Secondo Monica Giorgi, maresciallo capo e presidente del Nuovo Sindacato Carabinieri, la comprensione del fenomeno dei suicidi richiede anche l’adozione di chiavi di lettura diverse e, almeno tra gli operatori delle forze dell’ordine, del tutto inedite: “Ritengo sia necessario partire dagli stereotipi di genere e capire come questi delimitano confini molto precisi e rigidi entro i quali ogni persona deve rientrare per corrispondere alle aspettative sociali attese. Le costruzioni sociali presenti nella nostra società dipingono il ‘vero’ maschio come forte, spericolato e sicuro di sé: le uniche emozioni che i maschi vengono autorizzati ad esprimere senza sensi di colpa sin dalla più tenera età sono la rabbia e l’aggressività. Un ‘vero uomo’ deve saper comandare e non deve mai mostrare cedimenti. Vi è poco spazio per qualità come la sensibilità, l’emotività, l’empatia. Questo tipo di educazione che viene impartita fa danni enormi: molti uomini si rifiutano e/o non sono in grado di riconoscere il dolore e di conseguenza non lo sanno né gestire, né affrontare. Dimostrano di non saper accogliere la sofferenza, e di saperla solo rimuovere, come se fossero colpiti da una sorta di analfabetismo emotivo. Sono uomini ai quali non è stata data l’opportunità di imparare a chiedere aiuto”. Per Giorgi questo tema è ulteriormente amplificato negli ambienti militari: “In questi luoghi di lavoro vi è ancora molto forte una sorta di legge invisibile di conformismo alla virilità e ciò comporta inevitabilmente la stigmatizzazione verso ogni differenza, come essere sovrappeso, essere omosessuale o essere una donna. Tutto questo ha finito per rendere, paradossalmente, questi stereotipi e queste stigmatizzazioni una ‘risorsa’ sulla quale la disciplina militare si è tossicamente costruita nel tempo”.
La cultura patriarcale, quindi, trova in caserme e comandi terreno ancor più fertile che fuori. “Trovo preoccupante che il Comando Generale dell’Arma non prenda in considerazione la possibilità che nei nostri ambienti di lavoro possano esistere delle dinamiche tossiche. Dobbiamo prendere coscienza che delle concause, nel verificarsi di questi fenomeni, possano partire dai reparti, non necessariamente dai singoli. Queste dinamiche potrebbero essere individuate da professionisti, psicologi esterni all’Amministrazione, che dovrebbero essere presenti nella vita di un reparto, di un comando e osservare le dinamiche lavorative, la corretta interpretazione della gerarchia, una giusta comunicazione e le problematiche individuali del personale”.