Marina militare

MARINA MILITARE: NO, NON C’È PROPRIO NULLA DA FESTEGGIARE

(di Luca Marco Comellini per Tiscali Notizie) – In occasione dei festeggiamenti della Marina militare il capo uscente della forza armata, ammiraglio De Giorgi, ha chiesto nuovi soldi agli italiani per rinnovare la flotta navale: perché i 5,4 miliardi di euro già stanziati con la cosiddetta legge navale inserita nella finanziaria di qualche anno fa non bastano. E ne vuole ancora.

I 5,4 miliardi per il rinnovo della flotta della Marina militare vennero autorizzati con la Legge di Stabilità 2014 ma non sono sufficienti. Secondo De Giorgi è necessario «dare urgente avvio ad una seconda tranche di finanziamenti per la tutela dello strumento marittimo nazionale». Lo ha detto nel corso del suo intervento per le celebrazioni della giornata della forza armata, rivolgendosi ai massimi vertici politici e militari presenti, ai tanti ospiti, amici o meno.

Negli ultimi dieci anni, ha sottolineato De Giorgi, i fondi per la Marina «sono diminuiti del 65%».  Si tratta di un «sottofinanziamento che nel tempo ha eroso il patrimonio d’efficienza e d’addestramento su cui si fondano la nostra prontezza e le nostre capacità operative». Entro il 2025, ha poi ricordato «saremmo costretti a dismettere 54 delle 60 navi ancora in linea».

De Giorgi ha ricordato di aver già fatto presente nel 2013 la necessità di un «intervento strategico» di 10 miliardi in dieci anni ed ora è necessario dare avvio ad altri finanziamenti. «Abbiamo già avuto 5,4 miliardi – ha ribadito nuovamente al termine della cerimonia a chi gli ha rivolto domande – ne servono altri anche per i sommergibili. Non è un’opzione. L’Italia è un paese a vocazione marittima e non può non rinnovare l’intera flotta». Serve dunque «un intervento significativo e di lungo periodo, non un intervento spot. Serve vera innovazione».

Questo in sintesi l’appello di De Giorgi al gotha della partitocrazia riunito per l’occasione. Peccato che sulla storia dei 5,4 miliardi pesa l’inchiesta della procura di Potenza e i numeri delle navi da dismettere sono già stati più volte smentiti nelle sedi parlamentari e perfino dalla Corte dei conti che il 30 dicembre 2014 ha pubblicato una interessante relazione (Processi di razionalizzazione e valorizzazione degli arsenali militari gestiti dal Ministero della difesa) che riporta l’elenco delle navi militari che usciranno dal servizio da qui al 2030. Un elenco elaborato sulla base di dati forniti dallo stesso stato maggiore della Marina. Nel documento della Corte si legge chiaramente che le navi che usciranno dal servizio entro il 2025 saranno 23.

Anche la ministra Pinotti coglie al balzo l’occasione per sostenere la richiesta di denaro fatta dal capo della Marina militare (che tra qualche settimana cederà il comando) nonostante non abbia ben chiaro il numero delle navi da dismettere, come risulta dalle dichiarazioni rese alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti lo scorso 15 dicembre 2015 dove affermava, a proposito delle navi militari da dismettere «mi pare siano 38». La Pinotti però ha anche ricordato che la stessa necessità di investimenti economici c’è anche per tutte le altre forze armate.

È sembrata una festa per gli affari. I reparti sono schierati perfino sulla gradinata della fontana che adorna il piazzale dei giardini di Palazzo della Marina. Eppure non c’è nulla da festeggiare. Le strabilianti immagini dei marinai che fanno acrobazie con il moschetto, i bei discorsi e i proclami inneggianti all’onore e alla fedeltà alle istituzioni sciorinati con estrema disinvoltura secondo un copione ormai fin troppo scontato cozzano violentemente con la realtà del vivere quotidiano, l’incertezza economica che amplifica a dismisura le pessime condizioni degli ambienti di lavoro e la cronica disattenzione per la salute dei marinai. Giusto per fare uno dei mille esempi possibili basta leggere (nella fotogallery) il messaggio del Dipartimento di medicina militare legale (DMML) che proprio il giorno prima della festa aveva fatto annotare sui registri di bordo della nave oceanografica Magnaghi l’ennesimo allarme per la salute dei marinai: l’acqua utilizzata a bordo per lavarsi e cucinare non è conforme all’uso umano.

Il messaggio che è arrivato al cittadino comune affascinato dalle bianche uniformi e dagli squilli di tromba, trombette e tromboni, è più o meno questo: gli ammiragli piangono miseria e la buttano in caciara, il paese rischia di non avere più una marina militare. Tutti gli oratori hanno fatto dell’allarmismo e della minacciata incapacità di riuscire a garantire una adeguata difesa del paese il perno dei loro discorsi ma nessuno, però, ha voluto ricordare i recenti scandali, le tante storie di mazzette e appalti truccati difficili da cancellare da quelle uniformi troppo bianche, le furbate e i furbetti del quartierino che rappresentano il male assoluto del Belpaese. Nessuno ha avuto il coraggio di puntare il dito contro il malaffare che sempre più spesso coinvolge prepotentemente gli alti gradi del mondo con le stellette che, purtroppo, restano fin troppo spesso impuniti, forti e sicuri dell’inmpossibilità che la giustizia militare privata dei suoi poteri faccia il suo corso. Un mondo dove affari e politica fanno ancora da padroni, lasciando a quei militari nelle loro uniformi bianche, schierati sotto una pioggia battente, la difesa di quegli alti valori che ancora una volta sono sembrati così distanti dai palchi e dalle tribune d’onore.

No, non c’è proprio nulla da festeggiare. 

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