Maresciallo chiamato a rapporto dal superiore, comunica impossibilità tramite avvocato. Punito con due giorni di consegna, Consiglio di stato “facoltà legittima”
Riportiamo oggi il caso di un maresciallo capo dei carabinieri che, chiamato a rapporto dal proprio superiore, ha comunicato l’impossibilità tramite avvocato e per questa ingerenza è stato punito con due giorni di consegna. Dopodiché la parte interessata si è rivolta ai giudici amministrativi che, in secondo grado, hanno accolto la richiesta del sottufficiale.
La vicenda: la richiesta di rapporto, la riposta tramite avvocato e la punizione
Il ricorrente è un Maresciallo Capo dei Carabinieri, convocato presso gli Uffici del Comando Provinciale per conferire con il superiore gerarchico. Il maresciallo faceva pervenire una nota, a firma di un avvocato (asserita amica di famiglia), che comunicava la sua impossibilità di presentarsi alla convocazione.
In seguito a ciò veniva esperito un procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione della consegna di 2 giorni con la seguente motivazione ”Rivolgendosi ad un superiore, nell’ambito del rapporto gerarchico, faceva intervenire, al di fuori dei casi nei quali tali intervento è consentito, un terzo soggetto non appartenente all’Amministrazione militare, concretando una indebita interferenza nel rapporto gerarchico nell’impiego del personale e nell’azione di comando.
Il Maresciallo ha impugnato il provvedimento disciplinare e l’adito T.A.R. ha rigettato il ricorso. Avverso tale sentenza l’appellante ha proposto ricorso al Consiglio di Stato, sottolineando che l’intervento della legale si sarebbe limitato alla comunicazione dell’impossibilità del militare di presentarsi alla convocazione, non integrando alcuna “indebita interferenza nel rapporto gerarchico nell’impiego del personale e nell’azione di comando”.
L’effettuazione di tale comunicazione a mezzo del predetto avvocato sarebbe inoltre stata necessitata della contingente impossibilità di effettuare la comunicazione con mezzi propri da parte del medesimo carabiniere.
Il ricorrente ha inoltre evidenziato che, in ogni caso, il ravvisare una interferenza punibile nella circostanza che il militare si sia avvalso di un legale per la comunicazione con il corpo, nell’ambito di una vicenda oggetto di possibili controversie si paleserebbe violativo di fondamentali costituzionali, quali quelli dettati dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, a presidio del diritto di ogni cittadino di ottenere la dovuta tutela anche extragiudiziale nei confronti di atti adottati dalla P.A.
La sentenza del Consiglio di Stato
Il Collegio ha accolto il ricorso e rilevato al riguardo che, indipendentemente della questione della possibilità o meno del carabiniere interessato di comunicare in altro modo il suo impedimento, la “semplice” comunicazione del legale dell’impossibilità di rispondere a una convocazione dinanzi a un organo militare non costituisce una interferenza da parte di un estraneo nel rapporto gerarchico in violazione del comma 2 del citato art. 715 del D.P.R. 15/03/2010, n. 90.
Deve, secondo i giudici, aversi riguardo al tenore della comunicazione che si è limitata alla partecipazione di tale impossibilità all’Amministrazione e a nulla vale la circostanza, evidenziata anche nella sentenza gravata, che l’avvocato abbia indicato l’appellante come il “proprio assistito” e abbia indicato di scrivere nella qualità di “patrocinatore degli interessi” del medesimo appellato; così come non assume rilievo decisivo la circostanza che la comunicazione si concluda con l’indicazione di essere “nell’attesa di ulteriori riscontri”.
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Il Collegio ha rilevato come, in ogni caso, in via generale l’assistenza di un legale in sede di interlocuzione con l’Amministrazione di appartenenza costituisca esercizio di una facoltà legittima, espressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione e non può considerarsi tale da integrare la violazione dei doveri del militare.
Il diritto di difesa, inteso in senso lato, deve poter essere esercitabile anche al di fuori e in via preventiva rispetto al momento dell’azione in sede di giudizio – e anzi può essere volto ad evitare che si arrivi a esiti conflittuali in sede giudiziale – e, quindi, può esplicarsi anche nella fase di interlocuzione con l’amministrazione, dovendo essere garantito anche nelle organizzazioni a forte impronta gerarchica, come quelle militari.
I giudici hanno ribadito che tale facoltà, comunque non deve esorbitare dai limiti consentiti dall’ordinamento per il suo esercizio, per assumere caratteri offensivi o disfunzionali e, in tal senso, la circostanza dell’intervento di un legale, soggetto professionalmente qualificato, è anzi tendenzialmente una garanzia che il rapporto si mantenga nei limiti di un corretta salvaguardia dei diritti dell’interessato secondo le modalità consentite dall’ordinamento.
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