L’ARMA NEL MIRINO DEI MEDIA. KILLERAGGIO MEDIATICO CONTRO I CARABINIERI
Uno stillicidio. Da qualche mese i quotidiani nazionali ci stanno proponendo un minuziosissimo resoconto di ogni vicenda riguardante il Generale Del Sette e l’Arma dei Carabinieri, divenute, ormai, le “nuove” vittima dei media. Secchiate di fango e ripetuti attacchi alla Benemerita ed al suo Comandante incalzano sulla rete e sulla carta stampata. I media non hanno digerito la nomina di Del Sette sin dall’inizio, ma si sono scatenati alla caduta di Renzi con il caso Consip, sulla proroga reiterata del comandante, l’accorpamento della Forestale, i fatti di Firenze, di Aulla ed in questi giorni il “caso Sardegna”.
Un vero e proprio circo mediatico giudiziario in una società che pretende di dirsi civile: un rapporto storpiato tra Giustizia e Comunicazione, una pericolosa contiguità tra magistrati e giornalisti che innesca aberranti meccanismi alimentati da interessi di bottega e che sfocia nel delirio protagonistico di certi giornalisti-giudici. “Ma quando un giornalista si traveste da giudice, e un giudice da giornalista, allora la base delle nostre libertà è non già incrinata o messa in mora ma letteralmente distrutta…» scrive Giuliano Ferrara. E di fatto in questi giorni tv e giornalisti, media e social, hanno messo la toga lasciandosi coinvolgere dalla barbarie dei processi-spettacolo e delle gogne televisive. Il target? Screditare l’istituzione in cui gli italiani nutrono maggiormente fiducia, l’Arma dei carabinieri. Una chirurgica operazione di killeraggio mediatico e politico, che sbatte sulle prime pagine dei giornali non il silenzioso lavoro quotidiano dei Carabinieri, ma intercettazioni e decisioni del Comandante Generale dell’Arma dei carabinieri, trasferimenti di ufficiali dell’Arma e l’attività parasindacale di un organismo creato nel ’78 e che nessun legislatore (nonostante numerose proposte di legge anche a firma del ministro Pinotti) ha inteso cambiare.
Questa stima l’Arma se l’è guadagnata formando uomini (e poi donne) d’onore. Abusi, malversazioni, comportamenti arroganti e pretestuosi, che pure i cittadini riscontrano purtroppo da parte di altri servitori dello Stato, sono sempre stati lontani anni luce dal modus operandi dell’Arma. Il tentativo di screditare uomini che hanno dimostrato con i fatti di essere «nei secoli fedeli» non è nuovo e lo sanno bene, solo per citare i casi degli ultimi anni, i generali Giampaolo Ganzer e Mario Mori, che hanno vissuto un inferno di tribolazioni.
E nemmeno è nuova la tempistica di certe rivelazioni, se pensiamo che la prima notizia che alla vigilia di Natale 2016 dà conto dell’iscrizione del comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette, è pubblicata dal Fatto Quotidiano poche ore prima che il Consiglio dei ministri si pronunci proprio sulla proroga di Del Sette al vertice dell’Arma.
Certo. Errori saranno stati commessi, in alcuni casi reati ed anche gravi. Ma deve essere la politica a sanare gli errori e la magistratura a lumeggiare sulle vicende oscure, non il pettegolezzo gossipparo di corte che insudicia l’Arma ed i servitori dello Stato. Per concludere riportiamo un chiarimento del Consiglio direttivo delle camere penali di Brescia:
“Al di là dei diritti calpestati, da cui comunque non si può prescindere, ne va della credibilità della stampa, la quale, in un circolo vizioso, prima alimenta la notizia con un’informazione distorta e «sbatte il mostro in prima pagina» ma poi, ad assoluzione avvenuta, stigmatizza l’errore giudiziario, su cui successivamente spende inchiostro e trasmissioni televisive. C’è, dunque, un filo da riannodare, su un terreno che accomuna giornalisti ed avvocati: la scelta, il gusto e l’amore per la parola e il faro della professionalità, nel rispetto della deontologia e dei diritti di tutte le parti coinvolte. Il senso di questo intervento è tutto qui: si crede nel valore del diritto di cronaca come una delle più alte espressioni di libertà che il nostro ordinamento democratico ci concede, ma si crede parimenti nella necessità che esso non sia inficiato da un’informazione giudiziaria parziale ed orientata»”.