Difesa

Forze Armate: “La legge Corda” non garantisce i diritti fondamentali dei militari e tradisce le aspettative del Comparto

Il Co.Ce.R. Interforze ha votato all’unanimità un documento attraverso il quale chiede rilevanti modifiche e critica fermamente il disegno di legge sull’associazionismo sindacale tra militari, ormai prossimo alla discussione in Aula alla Camera dei Deputati.
Sostanzialmente, il disegno di legge n. 875 denominato “Corda” non garantisce i diritti fondamentali dei militari, tradendo le aspettative del personale di tutto il comparto.
Tale documento normativo, oltre a mettere in serio pericolo la rappresentatività per un lasso di tempo imprecisato, non offre alle nuove organizzazioni sindacali gli strumenti legislativi idonei per tutelare adeguatamente i diritti del personale con le stellette, minando la dignità di migliaia di donne e uomini che operano incessantemente sul territorio nazionale ed estero nell’ambito della difesa e della sicurezza del Paese.

IL FUTURO MODELLO DI
RAPPRESENTATIVITA’ DEI MILITARI

1. INTRODUZIONE

Con la sentenza n. 120 del 2018, la Corte Costituzionale ha riconosciuto al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare il principio di libertà sindacale, eliminando dal Codice dell’Ordinamento Militare il divieto di costituire e partecipare ad associazioni professionali aventi tale carattere e rimandando a successiva, specifica disciplina legislativa il compito di declinare i contenuti dei diritti e le modalità attraverso cui gli stessi possono trovare attuazione concreta nei luoghi di lavoro militare.

Nel lasso di tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento della Corte sono stati presentati alcuni disegni di legge sulla materia, esaminati in forma congiunta dalla IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati, che proprio nei giorni scorsi ha terminato i propri lavori e avviato l’iter per l’esame del testo da parte dell’Assemblea.

Sempre in ossequio alla sentenza, si sono susseguite alcune circolari del Gabinetto dei Ministri della Difesa e dell’Economia e delle Finanze, tendenti a disciplinare, nelle more dell’approvazione della disciplina legislativa, la procedura per l’ottenimento dell’assenso ministeriale e l’operatività dei sindacati che andavano via via costituendosi. In dipendenza di tali direttive, diverse associazioni, ottenuto il “via libera” dal Ministro competente, hanno iniziato a svolgere la loro attività.

Il presente documento si prefigge lo scopo, partendo dal testo licenziato dalla Commissione “Difesa” della Camera dei Deputati, di svolgere considerazioni sul futuro della tutela degli interessi dei militari, alla luce del passaggio di testimone dalla Rappresentanza Militare ai sindacati. Esso si propone di partecipare ciò che il Consiglio ritiene necessario affinché il transito all’esperienza sindacale, muovendo da quella maturata dal Co.Ce.R., dai Co.I.R. e dai Co.Ba.R., realizzi i principi sanciti dalla Corte Costituzionale e soddisfi l’auspicio dei colleghi che rappresentiamo, ossia garantire un livello di tutela, ovviamente più elevato rispetto a quello attuale e con reali ruoli e competenze sindacali.

2. LA “LEGGE DEI PRINCIPI” E GLI ORGANISMI DELLA RAPPRESENTANZA MILITARE

La sentenza della Corte Costituzionale si colloca nell’alveo di un percorso che inizia con l’emanazione della legge 11 luglio 1978, n. 382, meglio nota come “legge dei principi”. Come si legge nei relativi atti parlamentari, essa ha preso le mosse da due esigenze all’epoca particolarmente avvertite.

La prima è stata quella di addivenire a una nuova formulazione del concetto di disciplina che, pur mantenendo fermo il rapporto gerarchico, lasciasse al militare le più ampie possibilità di esplicazione della propria personalità.

La seconda consisteva nel costituire e rendere operativi organi rappresentativi in grado di prospettare, ai vari livelli, le esigenze, le richieste e in genere il punto di vista dei militari.

In quegli anni, peraltro, si affrontava il problema della riforma della Polizia, nell’ambito del cammino che avrebbe condotto all’emanazione della legge 1° aprile 1981, n. 121, e un intervento legislativo che concernesse il mondo militare si prospettava ormai come il completamento di un generale processo di riforma delle istituzioni poste a difesa dell’integrità e dell’esistenza dello Stato repubblicano.

In circa quaranta anni di lavoro e grazie alla passione e all’impegno di tanti colleghi che, agendo sempre nel solco tracciato dalla legge, si sono spesi per il riconoscimento dei diritti, gli Organismi della Rappresentanza di base, intermedi e centrale hanno tutelato gli interessi collettivi dei militari e portato le loro istanze nelle sedi competenti, seppur con un sistema rappresentativo non di tipo sindacale, instaurando prassi virtuose che hanno permesso di sopperire all’assenza di reali organismi di tutela del personale, consentendo, comunque, di raggiungere traguardi apprezzabili.

E’ su questa esperienza che deve innestarsi il nuovo modello.

3. IL NUOVO MODELLO DI TUTELA DEI MILITARI

Il passaggio all’associazionismo sindacale per i militari rappresenta senz’altro un momento delicato. Oltre a essere intuibile, vista la specificità delle funzioni assegnate, ciò è dimostrato dal tenore della pronuncia della Corte Costituzionale, che circonda il riconoscimento di tale forma di libertà di numerosi richiami alla peculiarità di compiti e ordinamento delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare.

Se è vero che la sentenza della Corte non estende tout court il regime previsto per i lavoratori pubblici o privati, e quindi giustifica contenimenti e bilanciamenti con altri diritti costituzionali fondati sullo status e sul complesso dei doveri che ricadono sui militari, è altrettanto legittima l’aspettativa di un modello di tutela sindacale funzionale, più avanzato di quello assicurato dalla Rappresentanza Militare. D’altronde, sembra ragionevole pensare che lo spirito della riforma non possa esaurirsi nella mera replica di un Organismo analogo, non nella forma bensì nella sostanza, con qualche competenza in più, ma scaricando i costi di funzionamento sul personale.

Per questo motivo, nell’audizione tenuta in Parlamento e nel corso degli incontri con il Ministro della Difesa, il Consiglio Centrale di Rappresentanza dei Militari aveva suggerito di prendere le mosse dal modello vigente per la Polizia di Stato, ovviamente da adeguare e perfezionare. Non si trattava di “copiare” il sistema instaurato per i poliziotti, dovendo essere questo filtrato attraverso le maglie imposte dal differente status rivestito. E’ però certo che, nonostante il diverso stato giuridico, esistono diritti fondamentali non comprimibili, nonché significativi momenti di condivisione tra i colleghi delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare da un lato e gli appartenenti alla Polizia di Stato dall’altro. Garantiamo insieme l’ordine e la sicurezza pubblica nelle piazze e nelle vie cittadine, a mare e nei cieli; sediamo al medesimo tavolo presso il Ministero della Pubblica Amministrazione in occasione dei rinnovi contrattuali; veniamo auditi insieme in Parlamento quando questo sta esaminando provvedimenti che impattano sul rapporto d’impiego, come accaduto per il “riordino delle carriere” del 2017 e per i conseguenti correttivi.

Il Consiglio Centrale, auspica, in sostanza, che il nuovo modello sindacale vada nella direzione di quell’apertura che, nei fatti, si è andata man mano realizzando nei rapporti tra i vertici delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare e il Co.Ce.R.. Si è infatti instaurata una prassi che ha portato il Consiglio a interloquire su argomenti che lambiscono e talvolta sconfinano in quelli preclusi alla Rappresentanza Militare, fornendo un contributo derivante dall’ascolto delle richieste dei colleghi e permettendo di raggiungere risultati condivisi e apprezzati. Una sintesi che dovrà trovare la sua essenza nelle moderne forme sindacali che hanno già interessato le Polizie civili e gli operatori del soccorso.

Avvicinandosi il termine dell’attuale esperienza e valutata la PDL 875 votata in Commissione Difesa della Camera, si fa strada in noi ed in coloro che rappresentiamo, il timore che il ruolo e la dialettica necessariamente differente che verrà a instaurarsi – se non altro perché a realizzarla non saranno più parti interne alla stessa Amministrazione – se non connotata da precisi ruoli sindacali – possa consegnarci un sistema non funzionale, farraginoso ed inadeguato.

4. IL TIMORE SULL’ARRETRAMENTO SUI DIRITTI

Vi sono alcuni punti dello schema di legge all’attenzione del Parlamento che riteniamo non condivisibili, in quanto non completamente aderenti ai principi tracciati dalla sentenza della Corte Costituzionale 120/2018.

Esercitando in pieno il nostro ruolo e quindi concentrandoci sui profili che attengono alla tutela dei diritti dei colleghi, dobbiamo evidenziare come, accanto ad alcune opportunità, quali l’accesso dei futuri sindacati alla contrattazione, sia di primo che di secondo livello, si registrino delle possibili aree di miglioramento.

Sussiste certamente l’esigenza di evitare che, nel passaggio, si crei un “vuoto di rappresentanza”. Il disegno di legge lo lascia invece presagire laddove prevede il termine dell’esperienza della Rappresentanza Militare allo scadere dei 90 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento e allo stesso tempo concede un termine superiore, pari a 150 giorni sempre dall’entrata in vigore, per l’emanazione dei regolamenti di attuazione. Questo sfasamento potrebbe determinare che nell’arco di tempo intercorrente tra la cessazione delle funzioni della Rappresentanza Militare e la piena operatività dei sindacati non vi sia alcun soggetto incaricato di tutelare gli interessi dei militari. Risulterà allora necessario adeguare le previsioni di legge affinché il cambio di modello avvenga senza soluzione di continuità.

Così come, in punto di competenze, sembra maturo il momento per legittimare la prassi instaurata con i Consigli di Rappresentanza in materia di informazione, che lo schema di legge impone su “ogni iniziativa volta a modificare il rapporto d’impiego del personale militare, con particolare riferimento alle direttive interne della Forza armata o del corpo di polizia ad ordinamento militare di appartenenza o alle direttive di carattere generale che direttamente o indirettamente riguardano la condizione lavorativa del personale militare”. Informazione che dovrà però essere preventiva rispetto all’adozione delle direttive, con tempi da definire dettagliatamente nel regolamento di attuazione, di modo che possano essere preservati da un lato il bisogno di notizie da parte delle associazioni e dall’altro la necessità dell’Amministrazione di procedere. E che non potrà essere assolta anche attraverso “la pubblicazione di tali dati nei portali telematici istituzionali” come prevede l’attuale schema di legge. La preventiva informazione costituirebbe un’opportunità anche per le Amministrazioni, che potrebbero registrare, come attualmente accade con i Co.Ce.R., l’orientamento dei rappresentanti del personale e cogliere qualche suggerimento, secondo quello stile partecipativo che ha ispirato la “legge dei principi” e che è stato ribadito dal Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare.

E ancora in materia di competenze, e in coerenza con quanto sin qui detto, si avverte la necessità di costituire una piattaforma di trattativa comune a tutte le Forze Armate e di Polizia in occasione della futura contrattazione, allineando gli argomenti su cui quest’ultima deve vertere a quelli previsti nell’articolo 3 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.

Infine, in punto di tutele dei rappresentanti del personale, il disegno di legge prevede aspetti sui quali è auspicabile una maggiore chiarezza, allo scopo di delineare meglio l’applicabilità di alcune statuizioni. In particolare, la possibilità di trasferire, anche senza preventiva intesa con l’associazione, coloro che vi ricoprono cariche elettive in caso di “incompatibilità ambientale”, impone di definire con precisione la casistica in cui quest’ultima può realizzarsi. Ciò nella considerazione dei riflessi che un provvedimento d’impiego della specie avrebbe sull’efficacia dell’attività rappresentativa.

5. CONCLUSIONI

Quanto abbiamo detto su questo tema importante e delicato è un contributo di pensiero dell’Organismo attualmente deputato a rappresentare gli interessi dei militari. Un organo democraticamente eletto, che svolge la sua azione in costanza di servizio e che non è controparte, ma parte delle Forze Armate e delle Forze di Polizia a ordinamento militare.

La sentenza della Corte Costituzionale ha individuato, in ottica futura, un’altra forma di rappresentatività, basata sul diritto sindacale.

L’auspicio del Co.Ce.R. è che ne scaturisca un modello nel quale i diritti dei militari dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza non subiscano contrazioni e in cui le buone prassi conquistate dalla Rappresentanza Militare trovino spazio.

Risulteranno fondamentali, a tale fine, una amplissima disponibilità al dialogo, sia da parte delle Amministrazioni che da quello delle associazioni, e una profonda azione formativa nei confronti, soprattutto, delle giovani generazioni, affinché il gesto di “sedersi al tavolo” per affrontare le istanze che provengono dal personale diventi automatico a tutti i livelli.

Roma, 9 luglio 2020

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