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Detenuto con bagno alla turca in cella fa ricorso “Trattamento Inumano”. Cassazione respinge “non è automaticamente degradante”

(di Avv. Umberto Lanzo) – La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9672 del 6 marzo 2024, è intervenuta sul tema delicato delle condizioni di detenzione nelle carceri italiane e della compatibilità di alcuni aspetti del regime carcerario con la dignità umana.

La Cassazione sul caso del bagno in cella: no al trattamento inumano

In particolare, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se possa considerarsi trattamento inumano o degradante, vietato dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la presenza di un bagno alla turca all’interno di una cella carceraria.

Il caso traeva origine dal reclamo di un detenuto contro una decisione del Tribunale di Sorveglianza che aveva ritenuto legittime le sue condizioni detentive, sebbene caratterizzate dalla presenza, all’interno della cella, di uno spazio ristretto e di un bagno alla turca separato dal resto dell’ambiente solo da una porta amovibile.

Secondo il detenuto ricorrente, tale situazione avrebbe comportato una lesione della sua dignità e integrare gli estremi del trattamento inumano e degradante.

Di diverso avviso il Tribunale di Sorveglianza, che aveva rigettato il reclamo valorizzando, da un lato, che lo spazio a disposizione del detenuto era comunque superiore ai 3 mq ritenuti minimi dalla giurisprudenza europea e, dall’altro, che il bagno alla turca non comprometteva la salubrità dell’ambiente.

La Corte di Cassazione, decidendo sul ricorso del detenuto, ha confermato la correttezza della decisione del Tribunale di Sorveglianza, escludendo che la situazione lamentata potesse integrare un trattamento inumano o degradante.

Dignità del detenuto: la Cassazione traccia la linea di confine

In particolare, gli Ermellini hanno ricordato che, secondo la costante giurisprudenza europea in materia, affinché possa configurarsi una violazione dell’articolo 3 CEDU non è sufficiente la mera esistenza di disagi o di una situazione di scarso comfort nella detenzione, ma occorre che si raggiunga una soglia di sofferenza eccedente quella connaturata allo stato di detenzione.

Inoltre, per valutare se tale soglia sia stata superata, è necessario considerare il complesso delle condizioni detentive in cui versa il detenuto, senza potersi concentrare su singoli aspetti negativi.

Nel caso di specie, da un lato è stato verificato che lo spazio a disposizione del ricorrente era superiore al minimo previsto dalla Corte Europea. Dall’altro, la presenza del bagno alla turca non comportava di per sé condizioni igienico-sanitarie inadeguate né una lesione della riservatezza, dato l’uso esclusivo da parte del detenuto.

Pertanto, in assenza di altri profili negativi rilevanti nel complesso della detenzione, tale situazione è stata correttamente qualificata dai giudici di merito come mero disagio, insufficiente ad integrare il livello di sofferenza richiesto dalla giurisprudenza europea per ritenere violato l’articolo 3 CEDU.

Con questa decisione la Cassazione ha quindi confermato il proprio pregresso orientamento, secondo cui la presenza di un bagno “a vista” in una cella carceraria può rilevare ai fini della violazione dell’articolo 3 CEDU solo se ad essa si accompagnino altri fattori negativi nelle condizioni di detenzione complessivamente considerate.

Bagno “a vista” in cella: non sempre è trattamento inumano

La pronuncia contribuisce dunque a definire in modo più preciso l’ambito di applicazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti in relazione ad uno degli aspetti più delicati e potenzialmente problematici della vita carceraria, fornendo utili indicazioni interpretative ai giudici di merito che saranno in futuro chiamati a valutare analoghe situazioni.

Al tempo stesso, la decisione della Suprema Corte non esclude affatto che la presenza di un bagno “a vista”, in particolari condizioni, possa rilevare ai fini dell’accertamento della violazione dell’articolo 3 CEDU.

La concreta verifica della sussistenza di tale violazione continuerà dunque a dipendere da una valutazione caso per caso da parte dei giudici di merito, tenendo conto di tutti gli aspetti delle condizioni detentive. L’importante pronuncia della Cassazione contribuisce però a fare chiarezza su un tema di grande rilievo nell’ambito della tutela dei diritti umani fondamentali nel contesto carcerario.

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