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CARABINIERE UCCISO, ERRORE IMPOSSIBILE IL GIALLO DI OMISSIONI E INDAGINI SBAGLIATE

(di Italo Carmigna) – Neanche una probabilità su un milione può alzare al
nobile rango di verità la versione di Emanuele Armeni, 38 anni, il carabiniere
in carcere per avere ucciso con un colpo di mitra il suo collega di pattuglia,
Emanuele Lucentini, 50 anni.

Perché il mondo reale della fisica, lasciato senza
parole da quel racconto, s’infrange contro la ricostruzione di quanto accaduto
due mesi fa nel cortile della caserma di Foligno all’alba di un giorno
infausto. Secondo il militare, in carcere con l’accusa di avere sparato un
colpo alla testa all’amico con qualche anno in più, è successo per sbaglio. 
Ma
riceve due smentite: una dalla perizia balistica ordinata dal procuratore capo
di Spoleto Alessandro Cannevale e l’altra dalla moglie della vittima che bolla
come bugiardo il compagno-assassino di suo marito. Per la semplicissima logica
delle quattro mosse e la certezza ci sia molto più di quanto scoperto finora. 


Con ordine. L’arrestato sostiene: il colpo alla testa del collega è partito
mentre scendeva dalla macchina con due M12 in mano. Inciampando e non sapendo a
cosa aggrapparsi, ha premuto il grilletto facendo partire un colpo finito
esattamente contro la tempia del collega. Con altrettanto ordine il perito
Emilio Galeazzi ha stabilito: 1) sotto il sedile dell’auto di pattuglia non ci
sono mai mitra pronti per sparare 2) per caricare l’M12 s2 occorre disinnescare
la sicura con due mani per scegliere la posizione a un colpo o a raffica. 3)
quindi bisogna caricare il carrello con uno sforzo di oltre cinque chili 4) a
quel punto per sparare bisogna premere il grilletto con uno sforzo di 4,5 chili
sull’indice premendo in contemporanea una parte del manico del mitra. Compiere
l’operazione in caduta non è improbabile, ma impossibile, sostiene il perito e
quindi il procuratore Cannevale e il suo sostituto procuratore Michela Petrini
che hanno firmato la richiesta di mettere in carcere Armeni. E di lasciarcelo. 
Anche gli avvocati della famiglia Lucentini, Maria Antonietta Beluccini e
Giuseppe Berellini spiegano: «Sia le risultanze della perizia, sia nostre
investigazioni, portano a stabilire la fondatezza della volontarietà». Armeni
voleva uccidere, quindi, ma dal carcere il carabiniere arrestato avvalora
ancora la teoria della casualità come un insulto a Pitagora, ma anche come
inquietante possibilità di mentire per nascondere altro. Troppi passaggi non
tornano in questo delitto, troppi dubbi affollano le trappole della logica. A
partire dal primo, il più semplice: perché uccidere il collega? Da
un’intercettazione ambientale subito dopo il funerale, Armeni parla a suo padre
e descrive il militare ucciso poche ore prima in modo ignobile per chi ha ucciso
un collega e per di più per sbaglio. Volano insulti pesanti e parole velenose.
Come mai tanto odio, quando alla moglie della vittima poche ora prima aveva
dichiarato tutto il suo dolore per l’amico scomparso e tutta la sua
costernazione per quanto accaduto? E ancora. Perché, di fronte all’evidenza dei
fatti balistici, continua a mantenere la versione cambiandola solo per un
piccolo passaggio sulla scarrellata? Mantenendo la tensione alta sulla
casualità dell’evento si distraggono gli investigatori dal movente? Il
procuratore capo parla di premeditazione, ma il giudice che firma l’ordinanza
nega l’accusa e motiva l’arresto solo con la volontarietà di uccidere.
Premeditazione vuol dire anche scegliere il momento giusto per agire. E forse
l’ora, cortile e la ipotetica casualità sono irripetibili in altri posti e
altre modalità. 
Questo però, non porta al movente. In una delle automobili
delle persone coinvolte nella vicenda sono state trovate duemila e duecento
euro in contanti: possibile lasciare tanti soldi dentro un’auto parcheggiata di
notte? Una spiegazione ci sarebbe, ma non è verificabile. E senza altri
dettagli, nulla pare dimostrabile. Poi ci sono i ritardi e gli errori clamorosi
delle prime ore dell’indagine che hanno portato lo spostamento del timone investigativo
dai carabinieri di Foligno alla squadra mobile perugina e al Ros di Roma.
Perché tanti sbagli e ingenuità degli investigatori? Un pasticcio i cui
contorni fanno paura e in cui compaiono omissioni tutte da indagare e spiegare.
Di cui dovremo ancora scrivere. Molto.

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