Avvocato Militare

Carabiniere motociclista investito, con conseguenze gravi, durante inseguimento. Il datore di lavoro è responsabile?

Il ricorrente, un carabiniere effettivo all’Aliquota Radiomobile – squadra motociclisti, ha impugnato la sentenza del T.A.R. con cui è stata rigettata la domanda di riconoscimento del diritto al risarcimento del danno derivante dall’infortunio sul lavoro occorso il 26.3.2006, con invalidità permanente subita pari almeno al 40% nella misura complessiva di €. 431.910,93.

I FATTI

In particolare, l’Appuntato scelto dei Carabinieri nello svolgimento di un servizio di pattuglia, insieme a un collega, il giorno 26 marzo 2006 notava due persone che sembravano darsi alla fuga su un ciclomotore, imboccando nel senso opposto di marcia una via del centro cittadino. Azionati i segnali di allarme, acustici e luminosi, i due appuntati si imbatterono nell’inseguimento dei soggetti, avanzando anch’essi, ciascuno a bordo della propria motocicletta di servizio, nel senso opposto di marcia. In questo frangente il ricorrente collideva con un’autovettura che stava avanzando nel senso di marcia consentito. A seguito dell’investimento l’Appuntato riportava delle fratture multiple gravi. L’infermità patita dal militare veniva riconosciuta come derivante da causa di servizio e per via di questa infermità veniva dichiarato parzialmente inidoneo al servizio ordinario. Il Comando Generale dell’Arma gli ha concesso un equo indennizzo per l’infermità patita, pari a 4158, 24 euro. 

Il 4 ottobre 2012, il Comando Generale dell’Arma ha riconosciuto al ricorrente la somma di euro 638,01 come rimborso delle spese sanitarie sostenute a seguito dell’incidente. Il carabiniere ha, quindi, proposto ricorso dinanzi al T.A.R. richiedendo il riconoscimento del risarcimento dei danni patiti, sostanzialmente imputando all’Arma dei Carabinieri, quale soggetto datoriale, una responsabilità contrattuale da inadempimento, collegata alla posizione di garanzia derivante dalla previsione di cui all’art. 2087 c.c. (Tutela delle condizioni di lavoro). Dopo il rigetto, il carabiniere ha proposto ricorso al Consglio di Stato.

In particolare, secondo l’appellante, gravava sull’Arma dei carabinieri in qualità di datrice di lavoro, l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie alla tutela del lavoratore; onere che, a detta dell’appellante, non sarebbe stato assolto, in quanto l’Amministrazione avrebbe solo dimostrato di avere messo a disposizione dell’appellante le dotazioni di vestiario e accessori idonei alle sue mansioni, ma non di aver garantito le altri necessarie condizioni quali la corretta manutenzione della motocicletta e, comunque di sicurezza del veicolo, anche in considerazione della sua supposta vetustà.

La sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha ritenuto il ricorso infondato rilevando l’infondatezza delle censure.  Il Collegio ha rilevato come il ricorrente non abbia indicato quali fossero le violazioni delle regole precauzionali che avrebbe posto in essere la pubblica amministrazione, ovverosia quali sarebbero state, anche dal punto di vista del nesso causale, le specifiche inosservanze degli obblighi di tutela della salute del lavoratore che hanno comportato l’incidente occorso all’appellante o ne hanno aggravato le conseguenze.

Il ricorrente, secondo i giudici, nel ricorso di primo grado si è limitato a lamentare che l’amministrazione non avrebbe apprestato tutte le misure per evitare il danno, in via del tutto generica e senza specifiche allegazioni in ordine alle possibili specifiche misure omesse, ovverosia agli specifici obblighi di protezione violati, limitandosi  a indicare che l’Amministrazione non ha offerto alcuna prova circa lo stato manutentivo in cui versava il risalente mezzo di servizio in dotazione nell’occasione del sinistro – moto Guzzi modello 850 T5 con 28 anni di vita – senza tuttavia evidenziare in che modo tale profilo avrebbe avuto incidenza causale nel sinistro occorso.

Il ricorrente ha, inoltre, indicato come la messa a disposizione di casco e di vestiario non risulti assolutamente proporzionata rispetto al rischio a cui il lavoratore viene ordinariamente esposto, anche in questo caso senza indicare l’incidenza causale e allegare quali altre misure precauzionali l’Amministrazione avrebbe potuto e dovuto attivare per evitare il sinistro.

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Secondo giurisprudenza consolidata, il contenuto dell’obbligo di sicurezza, previsto dall’art. 2087 c.c., non determina una responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, essendo necessario che la sua condotta, commissiva od omissiva, sia sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Ne consegue che sono a carico del lavoratore, quale creditore dell’obbligo di sicurezza, gli oneri di allegazione circa la fonte da cui scaturisce siffatto obbligo, del termine di scadenza e dell’inadempimento; nondimeno, l’individuazione delle misure di prevenzione che il datore avrebbe dovuto adottare e l’identificazione della condotta che nello specifico ne ha determinato la violazione deve essere modulata in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l’esposizione al pericolo.

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In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 c.c., la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte, dato che ai sensi dell’art. 1218 c.c. è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile, ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

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