Carabinieri

Adesso qualcuno chieda scusa al maresciallo Manganaro

Con la recente sentenza della Corte d’Appello che ha assolto con formula piena il maresciallo Fabio Manganaro dall’accusa di misura di rigore non consentita dalla legge, si conclude una vicenda giudiziaria che ha visto il militare sottoposto ad una vera e propria gogna mediatica.

Era il 26 luglio 2019 quando, a poche ore dall’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, venne diffusa la foto di Natale Hjorth, uno dei due americani arrestati per il delitto, ammanettato e bendato negli uffici del comando provinciale dei carabinieri di Roma. L’immagine fece il giro del mondo, scatenando polemiche e pesanti accuse all’Arma. Poche ore dopo il comandante generale Giovanni Nistri condannò il fatto, seguito a ruota dal premier Giuseppe Conte che indicò i possibili reati commessi dal maresciallo Manganaro, responsabile di aver bendato il fermato.

Peccato che, come emerso dal processo, la realtà dei fatti fosse ben diversa da quella rappresentata. Manganaro agì in un contesto ambientale tesissimo, “resa particolarmente complicata dalla presenza, nel piazzale e all’interno degli uffici, di numerosi soggetti alcuni dei quali animati da spirito vendicativo nei confronti del fermato”, come scrive lo stesso giudice di prime cure. Messaggi in chat di altri carabinieri auspicavano vendette efferate contro i responsabili dell’omicidio del collega.

Nonostante questo clima, Hjorth non riportò alcuna lesione. Manganaro lo difese e protesse, ricevendo lui stesso calci e sputi al posto del ragazzo. La bendatura servì dunque non ad umiliarlo ma a preservare la sua incolumità e l’attività investigativa in un frangente concitato. Una pratica prevista in molti paesi europei e negli Stati Uniti.

La condanna mediatica che ne seguì fu spietata. Trasferito e sospeso dal servizio, ha vissuto con la sua famiglia cinque anni di difficoltà economiche e sofferenze, arrivando alla separazione dalla moglie, anch’essa maresciallo dell’Arma.

Ora, con la sua piena assoluzione, ci si aspetta che qualcuno gli chieda scusa per averlo indicato come un “carabiniere indegno” sulla base di un’immagine e senza conoscere i fatti. L’Arma, che lo ha già fortemente punito, dovrà comportarsi di conseguenza, riconoscendo l’errore commesso. I media, che ne amplificarono la condanna sommaria, dovrebbero raccontare oggi con la stessa enfasi la sua vicenda umana oltre che giudiziaria. Sarebbe un gesto di civiltà e giustizia.

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