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IN CRIMEA VICINI AL DISASTRO. L’UCRAINA RICHIAMA I RISERVISTI

(di Alessandro Farruggia) – Ora più che mai, Kiev si prepara alla tempesta. «Siamo sull’orlo del disastro, è allerta rossa. Quella in atto — dice il neopremier Arseniy Iatseniuk — non è una minaccia, è di fatto una dichiarazione di guerra al mio Paese». Pur senza accogliere quelle che definisce «le provocazioni russe» e appellandosi all’Occidente, il nuovo governo — che ieri, mentre Mosca continuava l’invasione strisciante della Crimea, ha richiamato i riservisti — ha fissato una linea rossa: se le truppe del Cremlino, che secondo fonti Usa «hanno il completo controllo» della Crimea, dovessero estendere la loro presenza oltre la penisola, sarebbe guerra. «Ho dato ordine a tutti i comandanti militari — ci spiega il segretario del consiglio di sicurezza e difesa, Andrei Parubiy — di mettere le loro unità in stato di allerta. Ho chiuso lo spazio aereo ai voli militari degli altri Paesi, attivando gli intercettori e le batterie antiaeree, la sicurezza è stata rafforzata negli aeroporti e nelle centrali nucleari. Anche le unità militari e del ministero dell’Interno che si trovano in Crimea rispondono a noi. Se Mosca vorrà il peggio, noi ci difenderemo». Nella notte, a Sinferopoli sono state udite due esplosioni, una delle quali piuttosto forte, nella zona in cui hanno sede un’unità militare di guerra elettronica e un deposito di munizioni.
In Crimea di defezioni ce ne sono state, a partire da quella clamorosa del neonominato comandante della flotta ucraina, contrammiraglio Denis Berezovsky, che nel giro di 24 ore ha dichiarato fedeltà prima a Kiev e poi al governo filorusso della Crimea. Berezovsky è stato rimosso e verrà indagato per alto tradimento, al suo posto è stato nominato l’ammiraglio Sergey Hayduk.
LE FORZE filorusse e i militari russi in Crimea (presenti senza insegne e bandiere, ma pur sempre rispondenti al ministro della Difesa e all’intelligence militare, il Gru) hanno ieri stretto d’assedio tre basi dell’esercito ucraino: quelle di Peravalne, quella tra Kerch e Feodosia e una vicino a Sinferopoli. In tutti e tre i casi, tra alcune centinaia e un migliaio di russi e filorussi circondano le basi, senza però riuscire a ottenere dagli ucraini, che hanno piazzato mezzi blindati all’ingresso, la resa. In mattinata il comando delle truppe di frontiera aveva ottenuto la fine dell’assedio della base di Balaklava e per questo alle 14 è scattato un assalto condotto da alcune centinaia di civili armati di elmetti, giubbotti antiproiettile e bastoni, che hanno fatto irruzione e distrutto tutto. I militari fedeli a Kiev hanno evitato che i filorussi si impadronissero delle armi, si sono ritirati e a sera hanno ripreso il controllo dell’infrastruttura. Anche in questo caso si sono evitate vittime, ma è solo questione di tempo. 
Dopo gli incidenti di ieri a Kharkiv — 108 feriti per l’assalto dei filorussi al consiglio comunale — il vicepremier Anatoly Yarema ha annunciato che potrebbe essere decisa una chiusura parziale delle frontiere ai russi «visto che gli incidenti sono stati causati da facinorosi venuti apposta da Belgord, oltreconfine, a bordo di alcuni autobus». Difficile verificare se si tratti o meno di propaganda, peraltro giocata da entrambe le parti dato che i media di Mosca denunciano una ondata di profughi dall’Ucraina (675mila) che gli ucraini negano decisamente. Dopo le manifestazioni filorusse degli scorsi giorni, ieri a Odessa hanno manifestato diecimila filo Maidan e lo stesso è avvenuto a Dniepropetrovsk, dove si sono riuniti in 15mila. Ma a prescindere da chi tenga la piazza per un giorno, il Paese è e resta spaccato, con la regione di Lugansk — nel minerario Donbass — che ha definito «illegittime» le autorità di Kiev. 
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