Verona, è l’amante della moglie del comandante: carabiniere trasferito «per punizione»
Era diventato l’amante della moglie del comandante: sorpreso in «affettuosa intimità» con la donna sposata (e per di più sposata con un collega), un militare dell’Arma a causa di questa condotta ritenuta «disdicevole e poco opportuna» è stato punito disciplinarmente con un giorno di consegna e, soprattutto, con il trasferimento «per incompatibilità ambientale» presso un’altra sede, sempre nel Veronese. Le conseguenze di quella relazione extraconiugale, però, non finirono lì e sfociarono anche in due denunce e altrettante condanne a tre anni e 4 mesi di reclusione per «falso ideologico in atto pubblico», una delle quali è appena stata cancellata per prescrizione dalla Cassazione.
La relazione e la punizione
Un brigadiere e un comandante: due colleghi carabinieri divisi dalla stessa donna. All’epoca dei fatti, che hanno preso il via nel giugno 2008, lei è sposata con il secondo, comandante della compagnia dei carabinieri di un grosso centro della provincia scaligera: il loro matrimonio però sarebbe stato in crisi e la donna aveva iniziato una relazione extraconiugale con un collega del marito, brigadiere. Quest’ultimo, «beccato» dal marito-comandante e anche da un altro suo collega (comandante di stazione presso un altro comune della provincia scaligera), subì il procedimento disciplinare sfociato nel «trasferimento per incompatibilità ambientale»: una «punizione» che mirava a «stigmatizzare una relazione sentimentale con una donna sposata e non ancora separata legalmente».
Il falso e le condanne
A dare il via al procedimento contro il brigadiere-amante era stata una nota inviata ai superiori dal comandante di stazione con il concorso del comandante «tradito»: nel rapporto, si leggeva che il brigadiere era stato visto con la moglie del secondo «seduti al tavolo di una gelateria, intenti a consumare una bibita amoreggiando, incuranti dei presenti e mentre le figlie minori dei due giocavano». Dichiarazioni che però sarebbero state successivamente smentite, anche perché era emerso che in quei giorni (giugno del 2008) le «figlie minori» della donna si trovavano in villeggiatura. Per questo nei confronti dei due comandanti scattò la denuncia per «falsità ideologica in atto pubblico» che si tradusse nella condanna di entrambi in primo e secondo grado a tre anni e 4 mesi di reclusione. Ma mentre il comandante «tradito» ha poi rinunciato al ricorso in Cassazione facendo così diventare definitiva la condanna, il collega-comandante di stazione ha impugnato il verdetto nel terzo e ultimo grado di giudizio: un ricorso difensivo, quello dell’avvocato Nicola Avanzi, che è appena sfociato nell’annullamento della pena su decisione degli Ermellini grazie alla loro dichiarazione di «avvenuta prescrizione» del reato. Dalla Suprema Corte però si lancia anche un importante monito: «Il pubblico ufficiale non può certo redigere atti falsi per avviare procedimenti disciplinari finalizzati a “stigmatizzare” fatti ritenuti poco convenienti, «come in questo caso la relazione sentimentale con una donna sposata e non ancora legalmente separata».