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«STO MORENDO E L’ESERCITO MI LASCIA SOLO»

(di Lieta Zanatta) – «Sono nove anni che combatto con un male che mi sta
distruggendo piano piano. Ed è la prima volta che mi permetto di parlarne,
perché l’amarezza più grande è quella dovuta all’assenza delle istituzioni.
Siamo vittime di serie B».

Parla con molta fatica e si scusa per questo
Alessandro Trabucco, 58 anni, sottotenente di Cordenons collocato in pensione
nel 2011 per aver contratto un linfoma non Hodgkin, neoplasia maligna del
tessuto linfatico.
Dopo aver sostenuto a dicembre un trapianto di
midollo osseo, Trabucco è ora alle prese con un’alterazione, dovuta a un
farmaco che è in contrasto con un immunosoppressore, che lo ha messo ko e lo
costringe a letto.
«Non mi lamento, ora il problema è il recupero –
dice convinto -. Non reclamo soldi, ma il silenzio dei vertici militari nelle
vicende come la mia, dove non c’è clamore mediatico, mi dà l’impressione che,
meno se ne parla, meglio è».
La vicenda nasce nel 2008. Trabucco è in Libano con
la brigata Ariete di Pordenone, la sua quinta missione in zone crisi, dopo
quelle in Albania, Bosnia, Iraq e Kosovo. Sulla sua pelle compare un rossore
molto fastidioso per il quale rientra in Italia.
Dopo un anno di accertamenti, il responso impietoso
arriva dal Cro di Aviano: linfoma Nh, lo stesso riscontrato dall’Istituto
superiore di sanità in eccesso statisticamente significativo fra i militari italiani
impegnati nelle missioni di Kosovo e Bosnia, dove negli anni ’90 fu usato
l’uranio impoverito.
«Poi questa patologia – continua Alessandro -, si è
aggravata finché ha colpito il midollo osseo. Durante una visita, a Udine a
dicembre, i medici mi hanno dato 2 -3 anni di vita. L’unica soluzione è stata
il trapianto di midollo osseo». Che è stato eseguito da registro, in quanto
Trabucco non ha alcun parente che possa compatibilmente essere donatore: la
stessa sorella è affetta da un tumore.
E aggiunge: «Per il trapianto ho passato 50 giorni
di ricovero in ospedale da gennaio. Dalla finestra vedevo la caserma dove avevo
passato parte della mia vita professionale. Ma nessuna telefonata dai vertici,
senza l’ausilio o il conforto di alcuno, se non la buona volontà di colleghi
che si sono adoperati nei miei confronti».
Lo scorso 20 maggio, la corte d’Appello di Roma si è
pronunciata con sentenza definitiva su un caso di un sottufficiale morto di
cancro dopo la missione in Kosovo, condannando il ministero della Difesa a
risarcire con un milione 300 mila euro i parenti del militare confermando «il
nesso di casualità tra l’esposizione alle polveri di uranio impoverito e la
patologia tumorale».
Trabucco ha visto già nel 2011 la sua malattia
riconosciuta in quanto «dipendente da causa di servizio». «Ma ora non mi sono
fatto vivo per rivendicazioni economiche – puntualizza -, ma per dire che c’è
una disparità di trattamento tra le vittime di terrorismo e quelle del dovere
anche all’interno delle forze armate. Le vittime del dovere servono solo in
occasione di qualche cerimonia di consegna di onorificenze: passerella per
qualche comandante che poi non sa neanche chi sei e come ti chiami».
Oggi Trabucco si appella, dalle pagine del
Messaggero Veneto, al comando della brigata Ariete, alla Prefettura di
Pordenone, al capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Danilo Errico, e
alla ministra della Difesa Roberta Pinotti.

«Non chiedo ammissioni di colpe o aiuti di qualsiasi
natura. La forza per combattere questa battaglia me la do da solo. Ma dopo nove
anni in cui la vita mi sfugge dalle mani, notata l’assenza delle istituzioni,
vorrei invece sentirne la vicinanza. Per noi, vittime di serie B, sarebbe una
carica formidabile per affrontare questa battaglia a cui, da soldati, come
siamo abituati, non rinunciamo».

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