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Sottosegretario all’interno difende le forze dell’ordine, ma la politica continua a deluderle

Con piglio deciso, il sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco è tornato alla carica per difendere l’operato delle forze dell’ordine, auspicando un “cambio culturale” che metta fine alla tendenza a metterle sotto accusa.

Le parole di Prisco

Nel suo intervento al convegno del Coisp a Roma, Prisco non ha usato mezzi termini, affermando che “chi tocca un poliziotto tocca lo Stato, tocca l’Italia”. “Urgente arrivare a un cambio culturale perché mi pare che ci sia l’attitudine a mettere in discussione il lavoro e la professionalità delle forze di polizia, unico comun denominatore, mettere sullo stesso piano chi commette il reato e chi, in strada, il reato lo reprime. Noi questo non possiamo e non dobbiamo permetterlo: per questo serve ribadire che chi tocca un poliziotto tocca lo Stato, tocca l’Italia. E lo Stato è al servizio di chi ogni giorno è a disposizione dei cittadini per assicurare una convivenza civile”.

Parole forti, che suonano come una vera e propria arringa in difesa di quei servitori dello Stato che ogni giorno rischiano la vita per la sicurezza di tutti.

Eppure, la domanda sorge spontanea: a cosa servono questi proclami roboanti se non sono seguiti da azioni concrete? La retorica è certamente utile, ma rischia di rimanere fine a se stessa se non produce risultati tangibili.

Se da un lato è condivisibile evitare di demonizzare in modo generalizzato l’operato delle forze dell’ordine, dall’altro le parole di Prisco suonano stonate di fronte all’immobilismo con cui la politica ha affrontato negli ultimi decenni le reali esigenze di polizia, carabinieri e finanzieri.

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La “specificità” decantata ma mai attuata

Prendiamo la tanto decantata “specificità” del lavoro delle forze dell’ordine: un mantra ripetuto all’infinito, ma che ad oggi rimane un guscio vuoto. Nessun governo, da destra a sinistra, ha realmente provveduto a rafforzare concretamente la tutela delle divise con interventi normativi incisivi. Al di là dei proclami altisonanti e della nostalgia per la “pace sociale” di altri tempi, la politica continua a latitare.

E il disegno di legge dell’attuale esecutivo (Misure in materia di ordinamento, organizzazione e funzionamento delle Forze di polizia, delle Forze armate nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco) sembra non discostarsi da questo copione: poca sostanza e molta apparenza. Aumentare di qualche mese la permanenza degli allievi nelle sedi di prima assegnazione o cambiare il nome di una scuola significa ben poco per chi rischia la vita ogni giorno per garantire la nostra sicurezza. Servono investimenti seri, assunzioni, nuove attrezzature, miglioramenti retributivi e delle condizioni lavorative. Ma su questo fronte il Palazzo tace.

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Servono investimenti e miglioramenti reali

Forse, prima di indignarsi per ogni critica, la politica farebbe bene ad ascoltare davvero il disagio delle donne e degli uomini in divisa, troppo spesso abbandonati al loro destino da uno Stato più incline ai proclami che ai fatti. Il rischio, altrimenti, è che la retorica della “difesa d’ufficio” suoni sempre più stonata e vacua. E che la distanza tra istituzioni e forze dell’ordine continui ad allargarsi, nonostante gli appelli e le dichiarazioni di facciata.

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