Polizia Penitenziaria

RIFORMA PENITENZIARIA E DECRETO “SALVALADRI”: FALSO CHE CHI STA FUORI DELINQUA MENO”

Il nuovo ordinamento penitenziario punta sulle misure alternative alla detenzione.L’intento di riforma della legge 354/1975 implementa le misure alternative sia sotto il profilo del perimetro applicativo, sia nel contenuto risocializzante per il condannato e riparativo per le conseguenze del reato. Per garantire che i benefici non comportino rischi per i cittadini, ai controlli collaborerà la polizia penitenziaria, a supporto delle altre forze dell’ordine e degli assistenti sociali. Un progetto ambizioso che punta allo scopo rieducativo della pena.

È poi introdotta, per pene fino a sei anni o a quattro anni se relative a uno dei reati indicati dall’articolo 4bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario (come terrorismo, mafia, scambio elettorale politico-mafioso, tratta di persone, organizzazione dell’immigrazione clandestina e traffico di stupefacenti) un nuovo tipo di affidamento, modellato sull’affidamento “terapeutico” per i tossicodipendenti, che consentirà ai condannati con infermità psichica di iniziare o proseguire un programma terapeutico e di assistenza psichiatrica.

La detenzione domiciliare sarà applicabile anche a detenuti genitori di figlio con disabilità grave. La misura sarà possibile per pene fino a quattro anni se idonea al recupero sociale del condannato, a prescindere da altre condizioni, se il pericolo di commissione di altri reati non consenta la concessione dell’affidamento in prova.

 Maglie più ampie anche per la semilibertà: l’ergastolano vi potrà accedere dopo avere scontato 20 anni di pena o quando abbia fruito correttamente per almeno cinque anni consecutivi dei permessi premio. Non sarà più automatica ma valutata dal giudice la denuncia o la condanna per evasione, che comunque potrà comportare la revoca del beneficio.

Ma stare fuori dal carcere rieduca realmente chi sconta la pena? Secondo un articolo del Fatto Quotidiano a cura di Gianni Barbacetto non è affatto vero.

Chi accede alle misure alternative, dicono i dati, incorre nella recidiva solo nel 30 per cento dei casi, mentre chi sconta l’intera pena in carcere è recidivo al 70 per cento: è un argomento convincente per aprire il più possibile le celle. “Peccato che non sia vero”, dice Roberto Russo, ricercatore e docente di Diritto, che si è preso la briga di andare a controllare. “Si continua a ripetere che il soggetto ammesso alle misure alternative compia altri reati tre volte meno di un soggetto che non ha potuto accedere a questi benefici, ma mi sono chiesto: qual è la statistica da cui lo si deduce? L’ho cercata: non c’è”.

Russo ha trovato lo studio a cui i sostenitori della riforma fanno riferimento: si intitola “Le misure alternative alla detenzione tra reinserimento sociale e abbattimento della recidiva”, è stato scritto da Fabrizio Leonardi e pubblicato nel 2007 sulla rivista Rassegna penitenziaria e criminologica. “Molti lo citano, ma pochi l’hanno letto”, sorride Russo.

“Prende in esame un certo numero di detenuti (8.817 per la precisione) ammessi al beneficio dell’affidamento in prova e che abbiano finito di scontare la loro pena nel 1998. Poi conta quanti di questi, al settembre 2005, ci siano ‘ricascati’, cioè siano stati nuovamente condannati in via definitiva. Sono solo 1.677, quindi il 19 per cento”. Addirittura molto meno del 30 per cento. Tutto bene, quindi? “No, perché sono stati contati non quanti hanno commesso reati, ma quanti sono stati condannati in via definitiva entro il 2005”.

Ossia: sono stati conteggiati soltanto quelli che, usciti dal carcere nel 1998, hanno commesso un nuovo reato, sono stati individuati (“cosa non scontata considerando l’alta percentuale dei crimini impuniti”), e infine processati in primo grado, in appello ed eventualmente anche in Cassazione, con sentenza definitiva emessa entro il settembre 2005. “Capite bene che è un miracolo che siano più di mille, visto quanto durano i processi”. Da questa statistica restano fuori, spiega Russo, “tutti quelli che hanno compiuto reati ma non sono stati presi. E tutti quelli che, benché individuati, nel settembre 2005 erano sotto processo ma non avevano ancora avuto una sentenza definitiva”.

Ora la riforma penitenziaria, già approvata dal governo Gentiloni il 16 marzo, dovrà essere esaminata in Parlamento: non certo a breve, nelle “commissioni speciali”già nate alla Camera e al Senato, ma nella commissione Giustizia che nascerà dopo la formazione di un governo. Sarà un calvario: favorevoli Pd e Forza Italia, contrari però sia il M5s sia la Lega, che anzi la definisce “riforma svuotacarceri” o addirittura “salva ladri”

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