Polizia, quando la gonna fa la differenza. L’ingiusto vantaggio dei pantaloni: uomini tatuati favoriti nei concorsi
(di Avv. Umberto Lanzo) – Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha emesso un’importante ordinanza che potrebbe segnare una svolta nella valutazione dei requisiti fisici per l’accesso ai concorsi della Polizia di Stato, in particolare per quanto riguarda la presenza di tatuaggi sui candidati.
Il caso: l’esclusione di una candidata per un tatuaggio visibile
La vicenda ha origine dal ricorso presentato da una candidata esclusa dal concorso per l’assunzione di 2.650 Allievi Agenti della Polizia di Stato. La ricorrente era stata giudicata non idonea a causa di un tatuaggio ritenuto visibile con l’uniforme in uso. Tuttavia, il punto nevralgico della questione risiede nel fatto che tale valutazione è stata effettuata considerando come parametro la divisa ordinaria femminile nella versione con gonna e scarpe tipo “décolleté”, anziché quella con pantaloni e stivaletti.
La decisione del TAR Lazio: accolto il ricorso cautelare
Il TAR Lazio, nella sua ordinanza, ha accolto l’istanza cautelare della ricorrente, evidenziando diversi aspetti problematici nell’approccio adottato dall’amministrazione. In primo luogo, il Tribunale ha sottolineato come la questione dei tatuaggi nei concorsi pubblici coinvolga temi di rilevanza costituzionale, quali la libertà di espressione e il diritto al lavoro. Questo impone una valutazione particolarmente rigorosa dei presupposti posti a fondamento dell’esclusione di un candidato.
La questione della divisa: pantaloni vs gonna
Il collegio giudicante ha rilevato un’irragionevole discriminazione nei confronti delle donne partecipanti alle selezioni della Polizia di Stato. Infatti, l’utilizzo della divisa con gonna come parametro di riferimento comporta che, a parità di condizioni (ad esempio, un tatuaggio sul polpaccio), si giunga a conclusioni diverse a seconda che il candidato sia di sesso maschile o femminile. Questa disparità di trattamento non trova, secondo il TAR, alcuna giustificazione ragionevole che possa bilanciare la compressione delle libertà costituzionali in gioco.
Il contrasto con il diritto dell’Unione Europea
L’ordinanza mette in luce anche un possibile contrasto con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con la direttiva 2006/54/CE riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. Il Tribunale ha osservato che la scelta dell’amministrazione potrebbe svantaggiare un numero molto più elevato di persone di sesso femminile rispetto a quelle di sesso maschile, senza che ciò appaia necessario per conseguire un legittimo obiettivo.
L’interpretazione della norma sui tatuaggi: visibilità e uniforme
Un aspetto particolarmente rilevante della decisione riguarda l’interpretazione della norma che disciplina l’esclusione dei candidati per la presenza di tatuaggi. L’articolo 3, comma 7 quinquies, del decreto legislativo n. 95/2017 prevede come causa di esclusione la visibilità dei tatuaggi con l’uniforme indossata. Tuttavia, la definizione specifica dell’uniforme è demandata a fonti secondarie, come i decreti del Ministero dell’Interno. Il TAR ha ritenuto irragionevole la scelta dell’amministrazione di utilizzare, come parametro per la verifica della causa di inidoneità, la versione della divisa ordinaria femminile con gonna e décolleté, considerando che esiste anche una versione con pantaloni e stivaletti.
Il Tribunale non ha ignorato l’esistenza di un orientamento contrario del Consiglio di Stato su casi analoghi. Tuttavia, ha argomentato che l’esigenza di fornire un’immagine omogenea e simbolicamente identica del personale di polizia sarebbe meglio soddisfatta adottando come parametro una divisa con lo stesso capo di vestiario (pantaloni e stivaletti) sia per gli uomini che per le donne.
La disapplicazione delle norme ministeriali: un principio importante
Un passaggio significativo dell’ordinanza riguarda la possibilità per il giudice amministrativo di disapplicare le norme contenute nei decreti ministeriali sulle divise, in caso di contrasto con la normativa di rango superiore, in particolare quella costituzionale. Questo principio potrebbe avere importanti ripercussioni future sulla gestione dei concorsi pubblici e sull’interpretazione delle norme che li regolano.
Il TAR ha quindi accolto l’istanza cautelare, ammettendo la ricorrente al prosieguo dell’iter concorsuale. Ha inoltre ordinato all’amministrazione di eseguire tale disposizione entro sessanta giorni, fermo restando l’onere per la ricorrente di impugnare l’eventuale graduatoria finale nel frattempo pubblicata.
Le conseguenze della decisione: nuovi scenari per i concorsi pubblici
Questa decisione del TAR Lazio apre nuovi scenari nel dibattito sulla parità di genere nei concorsi pubblici e sull’interpretazione delle norme che regolano i requisiti fisici per l’accesso alle forze dell’ordine. Se confermata in sede di merito, potrebbe portare a una revisione delle procedure di selezione, garantendo una maggiore equità tra candidati di sesso maschile e femminile.
La questione, tuttavia, rimane aperta e controversa. Sarà interessante vedere come si evolverà il caso nelle prossime fasi del giudizio e quali saranno le eventuali reazioni dell’amministrazione e del legislatore a questa pronuncia. Ciò che è certo è che questa ordinanza del TAR Lazio ha acceso i riflettori su un tema di grande attualità, destinato a suscitare ulteriori dibattiti e, forse, a influenzare future riforme normative nel settore del pubblico impiego e delle forze dell’ordine.
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