PERCHÉ SULLA DICIOTTI MARINA E POLIZIA SONO IN ROTTA DI COLLISIONE. GLI AMMIRAGLI SMENTISCONO SALVINI
(di Barbara Ciolli) – Il livello di scontro istituzionale è tornato massimo in Italia con il ministro dell’Interno Matteo Salvini che sfida il capo dello Stato Sergio Mattarella. «Non temo il Quirinale» ha ammonito il vice premier e leader della Lega. E il riferimento va alla stessa nave Diciotti della Guardia costiera, che per ordine di Mattarella a luglio riuscì a trasbordare a Trapani 67 richiedenti asilo, bloccati per giorni in mare proprio da Salvini sul rimorchiatore straniero che li aveva salvati. Stavolta lo scontro è ancora più grave, perché il recupero dei naufraghi è stato compiuto direttamente dalla Diciotti, che è una nave italiana e per giunta una nave militare che da una settimana non può sbarcare i migranti nel porto di Catania. Il braccio di ferro – tutto interno – coinvolge i tre ministeri (della Difesa, delle Infrastrutture e dei Trasporti, dell’Interno) che hanno titolarità sulla Guardia costiera e, più ampiamente, il settori civili e militari della sicurezza italiana. Con Mattarella, da massima carica dello Stato, al comando delle forze armate.
COMPETENTI PIÙ MINISTERI
Il vice premier Salvini non poteva essere più temerario, né manifesta cedimenti. Muovendosi come un elefante in una cristalleria fa esplodere tutte le divisioni latenti per i diversi modus operanti tra i ministeri e le forze dell’ordine italiane, anche perché la Guardia costiera è forse l’organo che più le condensa tutte insieme. La direttive leghiste sulla gestione degli sbarchi di richiedenti asilo le stanno inevitabilmente portando a galla. Il punto è che la Guardia costiera, composta dalla varie capitanerie di porto, è innanzitutto un corpo della marina, quindi del ministero della Difesa. Svolge tuttavia compiti anche – e spesso prevalentemente – non militari, di competenza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (erede negli Anni 90 del dicastero soppresso della Marina mercantile) e, per il soccorso e l’intervento nei reati in mare, del corpo della polizia di Stato, dunque del ministero dell’Interno. Lo fa però con indosso gli occhiali della marina, che hanno come stella polare la legge internazionale, e primaria, dell’obbligo di salvataggio in mare.
MARINA CONTRO POLIZIA
L’accentramento nella catena di comando della Guardia costiera, imposto dal precedente ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd) insieme al codice delle Ong, aveva già provocato mal di pancia ai vertici di diverse Capitanerie di porto, abituate a muoversi con margini di autonomia allo scattare degli Sos per i barconi, piuttosto che a seguire un rigido protocollo unitario da direttive del comando generale di Roma. Le diverse linee, anche politiche, delle singole autorità portuali sono da sempre un’altra fonte di divergenze sulla modalità di azione in mare. Ma al di sopra delle questioni di campanile si staglia, con l’ultimo stop alla nave Diciotti che ha a bordo 150 naufraghi (27 minori non accompagnati sono stati portati a terra), il divario di vedute tra la marina e il ministero dell’Interno: per Ferragosto il pattugliatore della Guardia costiera ha caricato i 177 migranti stipati su un barcone in acque maltesi. Proprio mentre dal Viminale Salvini smuoveva mari e monti far far ricadere la responsabilità sul governo di Malta.
Prima si è naufraghi, dopo immigrati. Non si possono chiudere i porti
LA GUARDIA COSTIERA STA CON LE ONG
La vicinanza della Guardia costiera alle Ong impegnate in mare è un’altra spina nel fianco del vicepremier leghista. Chiamato a deporre davanti alla Commissione Difesa del Senato sulle Attività delle Ong, un anno fa l’allora comandante generale delle Capitanerie di porto, l’ammiraglio Vincenzo Melone, difese a spada tratta l’operato delle navi umanitarie. D’altra parte, l’imponente ed encomiabile operazione italiana Mare Nostrum, lanciata dopo l’ecatombe in mare dei 368 morti di Lampedusa del 3 ottobre 2013, fu condotta dalla marina, affiancata dall’aeronautica militare. Tra il 2013 e il 2014 le navi dell’esercito italiano si spinsero fino alle coste libiche, raccogliendo migliaia di migranti. “Sostituita” dalla missione europea Frontex incaricata del contrasto dei flussi, da allora parte dei salvataggi è stata scaricata sui mezzi delle Ong e sui mercantili, che non si vogliono più nei porti italiani. Comprensibile che le circa 11 mila unità della Guardia costiera, tra ufficiali e militari di truppa, stiano dalla loro parte, la Diciotti è da anni in prima linea nei recuperi in mare.
OBBLIGO DI SALVARE DELLA MARINA
La salvaguardia delle vite umane in mare e la sicurezza della navigazione sono i compiti principali delle capitanerie di porto. Bloccare una nave della Guardia costiera è stravolgere la sua funzione, oltre che un oltraggio alle forze armate e allo stesso presidente della Repubblica, da parte di un altro ramo dello Stato. Non a caso, durante la crisi dello scorso luglio, il ministro della Difesa Elisabetta Trenta, già capitano riservista della missione militare Unifil in Libano e commissario dell’esercito, ammonì Salvini con che la «strada non è chiudere i porti». Mattarella sbloccò poi lo stallo, attraverso il premier Giuseppe Conte. Ad agosto il ministro dell’Interno è stato ancora smentito dal titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti,Danilo Toninelli, anche lui con voce in capitolo, che inizialmente aveva dato il via libera per l’attracco a Catania ai «valorosi uomini della Guardia costiera». Poi dal presidente della Camera Roberto Fico, compagno di Toninelli nel M5s e terza carica dello Stato, sui migranti che «devono poter sbarcare».
GLI AMMIRAGLI SMENTISCONO SALVINI
Anche l’attuale comandante della Guardia costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, ribadisce che la legge del marinaio è «da sempre, anche in assenza di convenzioni, soccorrere chi si trova in difficoltà». Un «obbligo morale», ancor prima che giuridico, come il giuramento di Ippocrate per i medici. Perciò anche il capitano Gregorio De Falco famoso per le urla, da allora capo della Capitaneria di porto di Livorno, al comandante della Concordia Francesco Schettino e nel frattempo diventato senatore del M5s, boccia Salvini: «Prima si è naufraghi, dopo immigrati. Non si possono chiudere i porti», ha dichiarato. Per il cambio imminente dei vertici militarisi pescherà tra gli ammiragli più flessibili, ma sarà dura. Anche giuridicamente la battaglia navale di Salvini solleva diverse perplessità: «Il mancato adempimento da parte di uno Stato (alla tutela della vita umana in mare, ndr) non costituisce adeguato fondamento per il rifiuto di ottemperare opposto da un altro Stato» fa notare una recente lettera aperta di accademici del Gruppo d’Interesse sul Diritto del mare. LETTERA43