Geopolitica

Perché i servizi segreti israeliani non sono riusciti a prevedere l’attacco di Hamas

“È troppo facile assegnare ai servizi segreti israeliani il ruolo del capro espiatorio per spiegare l’impreparazione di fronte all’attacco di Hamas”. Ne è convinto Mario Caligiuri, Professore e Direttore del Master in Intelligence presso l’Università della Calabria, nonché presidente della Società Italiana di Intelligence. Che ricorda come pochi giorni prima, nel corso del conferimento del premio “Francesco Cossiga per l’intelligence” a Elisabetta Belloni, avesse proprio ricordato “che il più falso tra i luoghi comuni sui servizi di intelligence sia la sua sua onniscienza”.

Sì, professore, ma parliamo di quelli che sono considerati i servizi segreti più efficienti al mondo.

Attenzione: questo non vuol dire che intelligence israeliana sia impreparata. Chissà quanti attentati nel corso degli anni avrà sventato dei quali non sappiamo nulla, proprio in ragione delle modalità operative con cui opera l’intelligence.

Per l’appunto: come si muove l’intelligence sul campo?



Con due strumenti fondamentali: le attività di infiltrazione e di raccolta di informazioni, in questo caso all’interno di Hamas. E poi con attività di intercettazione a livello tecnologico. Oggi come oggi è possibile ascoltare conversazioni che hanno luogo all’interno di una casa anche senza dispositivi elettronici.

Eppure, nonostante questo, non sono riusciti a scoprire nulla…

Io credo sia andata come con l’11 settembre negli Usa. Le informazioni, magari, c’erano tutte, ma nessuno le aveva ancora processate. È il problema della dismisura delle informazioni.

E come mai?

Certamente le ultime vicende politiche israeliane, con grandi polemiche sulla riforma della giustizia e con elezioni continue, possono aver distratto gli uomini politici che devono indirizzare l’attività di intelligence. Diciamo che la politica israeliana in questo momento non sembra del tutto all’altezza delle funzioni delicate che ha sempre svolto dalla nascita dello Stato di Israele.

Lei parla di apparati di sicurezza: si riferisce anche all’esercito?



Soprattutto all’esercito. Ricordiamoci che il Mossad, il più noto tra i servizi segreti d’Israele, opera all’estero. All’interno del Paese opera lo Shin Bet, che fa capo all’esercito.

Ecco, l’esterno: lei si è fatto l’idea di un attacco che a livello di complicità altrove? I capi di Hamas stessi hanno indicato l’Iran come il Paese che ha fornito il suo aiuto nel finanziamento e nella pianificazione di questa azione…

C’è sicuramente la possibilità che altri servizi di intelligence abbiano aiutato. Aver lanciato l’offensiva a 50 anni dalla guerra dello Yom Kippur, che colse a sua volta di sorpresa i servizi di intelligence israeliani, ha un significato simbolico profondo. E fa pensare anche a un’altra cosa.

Quale?

Che questo attentato sia stato pianificato per anni. Che ci sia stato uno studio molto meticoloso delle falle del sistema difensivo israeliano. E che Hamas sia arrivata a conoscerle meglio dello stesso apparato di sicurezza israeliano.

E adesso la risposta di Israele quale sarà?

Secondo me, la risposta di Israele sarà uguale e contraria come dopo l’attentato a Monaco nel 1972. Penso che Israele si adopererà per eliminare tutti i responsabili di questo attacco.

Di fatto pensa che decapiterà i vertici di Hamas? 



Penso che la risposta sarà pari al livello della minaccia.

Ultima domanda: a chi conviene questo innalzamento della tensione?



Certamente, a chi non vuole l’accordo tra Israele e Arabia Saudita, anche se non sono così convinto che non andrà in porto. L’Arabia ormai considera i regimi sciiti più pericolosi di Israele.

E Israele cosa deve temere, ancora?

Deve temere la tenuta del sistema politico nazionale. L’intelligence dipende dal vertice politico: se il ceto politico è impegnato in risse continue, con alleanze del tutto incompatibili, è chiaro che sarà vulnerabile a nuovi attacchi.

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