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NON INDAGATE QUEI DUE POLIZIOTTI

(di Silvia Mancinelli) – La procura di
Roma non si sarebbe ancora pronunciata. Ma il rischio che i due poliziotti,
intervenuti per primi domenica mattina nella villa di via Birmania vengano
indagati, c’è.

Potrebbe infatti accadere in queste ore. Sarebbe un paradosso
tutto italiano, e di certo non una novità nel Belpaese, ma il fatto che dalle
loro Berette o da una sola di esse siano partiti i colpi che hanno centrato
Federico Leonelli al torace, uccidendolo, rende incerte le sorti di ispettore e
autista della volante. Negli Stati Uniti i due agenti sarebbero trattati da
eroi. Non sarebbero soggetti a indagini. Al di là dell’atto dovuto (la
possibile iscrizione sul registro degli indagati), e dell’azione penale
obbligatoria per far luce sull’omicidio, indagare i poliziotti potrebbe portare
le forze dell’ordine – già disgustate dai troppi procedimenti aperti
ingiustamente nei loro confronti – a non premere più il grilletto per difendere
i cittadini o per legittima difesa. E agli agenti che hanno sparato, una volta
sotto inchiesta, sarebbe rovinata la vita e la carriera. Da ieri molte le voci
sul fatto che i nomi dei poliziotti siano finiti sul registro degli indagati.
La procura non conferma. E se fosse così, prendere ora questa decisione negli
ambienti investigativi verrebbe letto come l’ennesimo segnale negativo nei
confronti di chi indossa ogni giorno la divisa.
Intanto il
responsabile di medicina legale del Policlinico Tor Vergata, Giovanni Arcudi,
che ieri pomeriggio ha effettuato l’autopsia sul cadavere del 35enne, parla di
due lesioni d’arma da fuoco al torace.
Entrambi i
proiettili, uno vicino al cuore, l’altro poco più sotto, sono stati estratti e
consegnati agli investigatori per la perizia balistica. Dovrà essere stabilito,
infatti, se i colpi che hanno centrato l’assassino siano partiti dalla stessa
pistola o da quelle di entrambi gli agenti. La cosa certa è che la traiettoria
è dall’alto verso il basso. Incerta invece la distanza dalla quale è stato
premuto il grilletto: «Due o cinque metri – spiega Arcudi – non si può dire».
Non c’è dubbio, al contrario, che i colpi siano stati esplosi frontalmente,
nessuno a bruciapelo, provocando lo shock emorragico che ha poi causato la
morte di Leonelli al Sant’Eugenio.
Stando alla
dinamica dei fatti, il killer sarebbe stato sorpreso dagli agenti e dai vigili
del fuoco subito dopo aver decapitato la colf Oksana Martsenyuk. Quando i
pompieri hanno iniziato a lavorare per tagliare le grate della porta blindata
del seminterrato, dove l’assassino si era barricato con il cadavere mutilato,
gli agenti lo hanno intravisto attraverso il vetro. Sfondato, e notato il
sangue, hanno intimato all’uomo di uscire. Il coltello ancora in pugno,
Leonelli ha iniziato ad avanzare sul ballatoio e sulle scale per poi salire sul
giardino terrazzato. Lì si sarebbe scatenata la follia del killer: urlando e
dimenandosi, sarebbe avanzato verso i vigili del fuoco che indietreggiavano.
Gli agenti avrebbero iniziato a sparare i primi colpi, tutti bassi, scheggiando
un gradino in porfido. A quel punto il 35enne è corso sull’altra rampa di scale
verso il cancello per raggiungere la Chevrolet Cruze. Ora la perizia balistica
dovrà spiegare da dove e perché gli agenti abbiano alzato il tiro sparando
prima in direzione dell’auto e lasciando due fori sul parabrezza. Poi,
centrando al torace Leonelli, uccidendolo. Saranno i filmati delle telecamere
in giardino a chiarire i dubbi: sembra che gli agenti abbiano premuto il
grilletto dal giardino terrazzato, più alti quindi rispetto a Leonelli, vicino
all’auto. Gli esami tossicologici sul cadavere chiariranno se la sua follia è
dovuta all’uso di cocaina o allucinogeni

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