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LO SFOGO DI ULTIMO: “IO NON LAVORO, COMBATTO. ECCO COSA PENSO DELLA MIA RIMOZIONE”

È stato il protagonista di una lunga serie di indagini.
Quelle scomode, soprattutto, portano la sua firma: lui è il colonnello dei carabinieri
Sergio De Caprio, conosciuto da tutti come il Capitano Ultimo. Dalle indagini
sui conti di Francesco Belsito, a Giuseppe Orsi, a Bruno Spagnoli di
Finmeccanica, all’arresto di Luigi Bisignani, indagato per i traffici di
informazioni segrete e appalti per la P4, fino al deputato Pdl Alfonso Papa,
amante di Rolex rubati.

E ancora le confessioni di Ettore Gotti Tedeschi, il
potente banchiere che è stato a capo dello Ior, la banca vaticana, le indagini
sul tesoro di Massimo Ciancimino, figlio dell ’ex sindaco di Palermo Vito.
E per concludere ricordiamo le indagini su Roberto Maroni,
presidente della Regione Lombardia accusato di abuso di ufficio e le inchieste
sulla Cpl Concordia, la cooperativa che aveva in conto spese il sindaco Pd di
Ischia Giosi Ferrandino. Solo per citarne alcune. A proposito: a dir poco
imbarazzanti sono le intercettazioni del premier Matteo Renzi e del Comandante
della Guardia di Finanza Michele Adinolfi pubblicate dal Fatto Quotidiano.
Ma dal 1 settembre il colonnello non guiderà più il Noe
(Nucleo operativo ecologico dei carabinieri), perché è stato demansionato. A
difesa del Capitano Ultimo oltre ai suoi colleghi, si è schierata soprattutto
Rita Dalla Chiesa, figlia del Generale Carlo Alberto.
“Ultimo è un simbolo, è il carabiniere che sta dalla parte
dei più deboli, di chi soffre”, ha detto più volte la conduttrice televisiva.
Un uomo costretto a non mostrare mai il suo volto, Ultimo ama più la strada che
i palazzi del potere. Semplice, pratico ed irrequieto. Pensa ai risultati, non
alla burocrazia: per lui il fine è solo l’utile, i mezzi tutti quelli
possibili. Il colonnello mal sopporta chi non ha scrupoli.
Nel 2009, per l’esigenza di aiutare persone in difficoltà,
ha creato l’associazione “Casa Famiglia Capitano Ultimo”, divenuta operativa
nel 2011 con l’apertura della prima struttura residenziale per otto minori
dagli otto ai diciassette anni. A chi gli chiede perché, da subito, scelse di
chiamarsi Ultimo, risponde: “È un nome di battaglia, quindi, nel momento di
sceglierlo, ho scelto Ultimo perché vedevo che tutti volevano essere primi,
volevano essere più bravi, più belli, volevano emergere, avere prestigio,
riconoscimenti. Mi facevano schifo perché credo che il lavoro del carabiniere
sia un donare e non un prendere, quindi ho voluto invertire la tendenza che
avevo notato”.
Con queste parole il Colonnello Sergio De Caprio, meglio ha
iniziato questa intervista in quello che ormai è ritenuto il suo “covo”: la
casa famiglia “Capitano Ultimo” ubicata a Roma in via della Tenuta della
Mistica.
Quale sensazione ha provato quando ha arrestato Totò Riina,
per lei era la fine o l’inizio di qualcosa?
Era la fine di una caccia: quando uno finisce la caccia e
trova la preda si sente semplicemente vuoto perché deve pensare alla caccia
successiva, al di là che poi mi ha fatto schifo vederlo come essere umano,
tutto qua.
De Caprio, secondo lei la lotta alla mafia è diventata un
meccanismo di interessi?
Questo non lo so. Io so cosa è la lotta alla mafia che ho
vissuto: è una lotta che si fa sulla strada e senza volere niente in cambio.
Questa è la lotta che mi hanno insegnato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
e il generale Mario Mori: li ringrazio perché ho visto loro praticarla così, ho
visto Giovanni Falcone praticarla così e quindi faccio riferimento a loro, gli
altri non li giudico e non mi interessa di loro perché ognuno poi si esprime come
vuole.
Un suo tratto caratteristico è il guanto nero che indossa
alla mano sinistra, a completare un abbigliamento poco formale.
Il guanto nero mozzo è il guanto dei lavavetri, così ricordo
che anch’io sono un lavavetri e tutto quello che fanno ai lavavetri lo fanno a
me, non devono pensare di essere soli. Anche loro sono nostri fratelli e
combatteremo per la loro dignità; nessuno può e deve calpestarli. Indosso il
guanto per ricordarmelo, altrimenti penso solo a quelli che si mettono la
cravatta e mi dà fastidio.
Come ha reagito alla notizia di essere stato rimosso dalle
funzioni investigative del Noe, nucleo operativo ecologico?
La rispetto e la eseguo (ha risposto in maniera fortemente
decisa, ma serena ndr).
Già anni fa la privarono della scorta poi riassegnata su
protesta dei suoi collaboratori, che avevano raddoppiato i turni per
proteggerla.
Accadde così. Ma, allora come oggi, accettai le decisioni.
Credo che il mio lavoro possa parlare per me.
Quali attività vengono svolte nella “Casa Familglia Ultimo”?
Organizziamo raccolte fondi, abbiamo in programma tantissime
iniziative, tra poco apriremo un maneggio gratuito a favore di persone
diversamente abili che sono nostri fratelli che ci hanno dato l’esempio di
essere volontari per gli altri, abbiamo visto questo esempio e gli rendiamo gli
onori che meritano e gli offriremo gratis l’ippoterapia oltre all’utilizzo di
questi spazi. È una struttura pubblica, convenzionata con il Comune di Roma: i
minori arrivano o attraverso il servizio sociale dei municipi o attraverso il
Tribunale dei minori di Roma.
All’interno della struttura c’è l’allevamento dei falchi da
lei personalmente curato. Perché proprio i falchi?
C’è stato un periodo della mia vita in cui stavo veramente
male, c’erano processi e quindi somatizzavo, andavo spesso all’ospedale e a un
certo punto di notte mi vennero in sogno una pioggia di falchi sul viso che
però mi accarezzavano anziché graffiarmi.
Ho capito subito che era il mio amico pellerossa Apache,
perché avevamo fatto un gemellaggio e mi diceva curati con i falchi, ti mando
questa medicina. Allora sono andato su Internet, ho riconosciuto il Falco
Astore, ho fatto un corso, ne ho preso uno e mi sono curato così grazie ai miei
fratelli pellerossa di cui sempre ricordiamo il gravissimo genocidio. Per
questo amo i falchi; avevamo anche le aquile, amo la loro purezza e la loro
libertà.
Quanto le è costato trascurare la sua vita privata per il
lavoro. È riuscito a conciliare tutto?

Io non lavoro, combatto. Quindi, non è un lavoro per me. È
esattamente come io vorrei vivere, fare il carabiniere è come io sognavo di
vivere da piccolo. L’ho imparato dai colleghi delle stazioni. Sono cresciuto
nelle stazioni dei carabinieri, per questo i miei amici erano e sono
carabinieri e ho continuato a vivere come vedevo vivere mio padre in caserma.
Ho salutato mia mamma, mio padre e mia sorella quando avevo sedici anni, li ho
sempre portati nel cuore e non li ho mai sentiti lontani, li ho sempre sentiti
ogni giorno accanto a me e ora che mio padre è morto lo sento ugualmente ogni
giorno accanto a me. L’amore che abbiamo per il nostro popolo è così grande che
ti fa dimenticare tutto.
Emanuela Belcuore per il “Fatto Quotidiano”

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