Libia, barili di uranio scomparsi nella zona 'controllata' da Wagner: cosa sappiamo
L’ombra dei mercenari del gruppo Wagner, un Paese in preda all’instabilità politica da ormai 12 anni e una decina di barili di uranio. Sono questi alcuni degli elementi sulla misteriosa scomparsa, in Libia, di materiale ad alto potenziale atomico. Facciamo il punto della situazione, con l’aiuto di un’esperta.
Mercoledì scorso, 15 marzo, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha denunciato la “scomparsa” di 2,5 tonnellate di minerale di uranio “yellowcake” (“torta gialla”) dal sito di stoccaggio del Monte Ben Arif, nei pressi di Sebha, nella zona centrale della Libia. Secondo il direttore generale dell’Aiea, Rafael Mariano Grossi, il giorno prima gli ispettori dell’agenzia “hanno scoperto che dieci barili, contenenti all’incirca 2,5 tonnellate di uranio naturale, sono scomparsi da un sito libico che non è più sotto il controllo del governo”. Da un chilogrammo di uranio naturale (non direttamente utilizzabile per fini bellici), una volta lavorato, si possono produrre in teoria 5,6 chili di materiale utile per la fabbricazione di armi atomiche.
Scomparso uranio nella zona controllata da Wagner
Dal 2020, il gruppo paramilitare russo Wagner – impegnato anche in altri teatri di crisi come la Siria e l’Ucraina – eserciterebbe il proprio controllo sul sito di stoccaggio di uranio del Monte Ben Arif, a Nord-Est della città di Sebha. Lo ha riferito ad Agenzia Nova una fonte vicina agli apparati di sicurezza della città libica. Secondo la stessa fonte, inoltre, il gruppo Wagner considera il Monte Ben Arif come una propria postazione militare, anche in virtù della presenza nell’area dei più grandi siti di stoccaggio di materiale militare del Paese.
Il ruolo di Haftar
L’Esercito nazionale libico (Lna), guidato dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica sostenuto dalla Russia, ha impedito l’accesso al sito di Ben Arif agli ispettori dell’Agenzia nazionale libica per l’energia atomica, consentendolo solo in seguito “sotto pressione”. Haftar, peraltro, prima di lasciare entrare gli ispettori, avrebbe spostato parte del materiale in altri siti, sotto la supervisione del gruppo Wagner. Secondo la stessa fonte, l’Agenzia libica per l’energia atomica non ha alcun controllo sui siti di stoccaggio di uranio situati nel Sud della Libia. Di conseguenza, non è da escludersi che già da tempo il gruppo paramilitare russo abbia trasferito l’uranio in altri siti nella regione di Al Jufra, dove si trovano magazzini simili a quelli di Sebha.
Cosa c’è nel sito
Secondo un rapporto delle Nazioni unite del 2013, l’ex struttura militare di Sebha conterebbe ben 6.400 barili di uranio. Nel 2003, l’ex rais libico, Muammar Gheddafi, dopo colloqui con rappresentanti di Stati Uniti e Regno Unito, aveva dichiarato di aver ottenuto centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e informazioni tecniche utili per la produzione di armi atomiche. Nella stessa occasione, tuttavia, il colonnello aveva detto che la Libia aveva rinunciato al programma nucleare a scopi militari. Dopo la sua caduta, nel 2011, il Paese è sprofondato in un conflitto tra milizie, che ne ha prodotto lo smembramento. Anche per questo, come riferisce il quotidiano libico Al Wasat, il sito di stoccaggio di uranio vicino Sebha era “rimasto per anni senza una sorveglianza adeguata”.
Lna: “Barili recuperati”, ma l’Aiea non conferma
Nella serata di giovedì, 16 marzo, l’Lna del generale Haftar ha reso noto che i barili di uranio scomparsi sono stati ritrovati “in una località che non dista più di cinque chilometri dal suo deposito, in direzione del confine con il Ciad”. L’Aiea – ha detto un portavoce ad Agenzia Nova – sta lavorando “attivamente” per verificare le notizie diffuse dai media secondo cui l’autoproclamato Esercito nazionale libico avrebbe ritrovato i barili.
L’ipotesi “bomba sporca”
Esperti dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), interpellati da Nova, ipotizzano che il cosiddetto “yellowcake” possa essere disperso nell’ambiente facendo detonare una “bomba sporca“, ovvero, un ordigno esplosivo convenzionale contenente del materiale radioattivo. “In tal caso però, sia gli effetti radiologici che quelli tossici sarebbero comunque limitati, dato che i quantitativi inalati sarebbero in ogni caso modesti”, sottolinea l’Isin.
Mercuri: “Tante ipotesi sul tavolo, Haftar in cerca di visibilità?”
I tempi rapidi e il luogo del presunto ritrovamento dei barili in un’area controllata da milizie vicine a Haftar potrebbe “far pensare che il generale possa aver alzato un polverone mediatico per dimostrare al mondo di avere questo uranio, e quindi anche un potere importante”. Questo è il pensiero di Michela Mercuri, esperta di geopolitica del Mediterraneo interpellata da upday. “Bisogna ricorda che Haftar in questo momento non è considerato, soprattutto dall’Italia, uno degli interlocutori privilegiati: potrebbe quindi voler alzare la posta e far capire di poter essere pericoloso“, spiega la studiosa.
Quale può essere il ruolo di Wagner
“La Wagner è presente in Libia dal 2018, ha addestrato le truppe di Haftar e in questo momento è uno strumento politico-militate utile a mantenere il controllo dei siti militari come la base di Al-Watiya e alcuni siti petroliferi nell’area di Sirte. Non vedo personalmente una motivazione plausibile per cui Wagner possa ‘movimentare’ questi barili”, argomenta Mercuri. “L’area è storicamente una delle più instabili della Libia, con trafficanti e gruppi criminali – anche jihadisti – che sono sempre in cerca di armi e finanziamenti: possiamo ipotizzare anche che siano stati loro a trafugare questi barili senza neanche rendersi pienamente conto del loro potenziale”.
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