Immigrato ucciso nei boschi, il carabiniere ha sparato con un fucile da caccia con proiettili in gomma
La situazione dei boschi di Castelveccana, vicino al lago Maggiore, è diventata insostenibile: una zona a rischio per la presenza di spacciatori nordafricani. Nella serata di venerdì, un sottufficiale dei carabinieri, in servizio con due colleghi, ha imbracciato un fucile (non l’arma d’ordinanza) e sembrerebbe essere il responsabile della morte di Rachid Nachat, un 34enne marocchino di Béni Mellal. Il proiettile di gomma che ha ucciso il giovane ha devastato il suo polmone destro e innescato un’emorragia fatale. Tuttavia, secondo il fratello di Rachid, non era uno spacciatore ma solo a caccia di marijuana. La Procura non sembra convinta e sta indagando sulla scena del crimine. La difesa del sottufficiale indagato sostiene che lui si sia difeso da un’aggressione da parte di Rachid e che i suoi colleghi fossero lontani. L’avvocato della famiglia Nachat, ritiene inutile discutere se fosse o meno uno spacciatore («È stato assassinato un uomo, fine») ma suggerisce che possieda informazioni utili.
Il fratello di Nachat, traslocatore nel Pavese, ha affermato di aver saputo da un amico che Rachid era caduto in un canalone. Il sottufficiale dei carabinieri ha messo a verbale la convinzione di non averlo neanche ferito, ma non ha avvisato superiori o autorità giudiziarie. Ore dopo, in relazione proprio a quella chiamata che annunciava la presenza del corpo nel precipizio, i vertici della Compagnia di Luino, sede di servizio dei carabinieri, si sono ricordati dell’attività a Castelveccana e hanno effettuato il collegamento.
Potrebbe essere che il sottufficiale credesse che lo sparo avesse raggiunto un terrapieno, e non Rachid, ma perché non parlare? Inoltre, quali informazioni avevano i colleghi al ritorno in caserma? I carabinieri erano vestiti da cacciatori e portavano con sé proiettili di gomma, e gli investigatori non si spiegano il perché.
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