Editoriale

Il 24 maggio e i Fanti dimenticati da tutti.

105 anni fa i Fanti attraversarono il Piave e in quel guado, in quell’azione eroica gli italiani si ritrovarono un solo Popolo contro il nemico.

I Fanti, poco più che 18enni e con i calzari ben stretti, in marcia attraversavano la storia sino ad arrivare alla conquista delle cime più alte. Su quei passi lunghi e fangosi un giovane napoletano, Giovanni Ermete Gaeta, scrisse la “Leggenda del Piave” e solo pochi anni dopo la fine del Guerra ottenne la soddisfazione di sentire il suo inno cantato da molti. Erano anni tristi e la povertà si frapponeva tra due conflitti mondiali ma la Patria era un valore. Tutto era un valore. 600 mila morti, 2 milioni e mezzo di feriti e mutilati e oggi nessuno ricorda quel 24 Maggio dove tutto ebbe inizio e l’Italia e gli altri Paesi Europei erano lontani e nemici spietati. La guerra di posizione, dei gas, dei feriti già morti e delle lettere a casa attese per mesi. Ancora oggi sul Monte Sabotino, sul Tagliamento e lungo i confini a est echeggiano le urla di quei Fanti. Peccato però che la politica italiana si sia completamente dimenticata di quei figli, di quelle giornate e dei fiotti di sangue che colorarono il Carso e tinsero il Piave.

Di seguito il testo della Leggenda del Piave.

Il Piave mormorava
Calmo e placido al passaggio
Dei primi fanti , il ventiquattro maggio:
l’Esercito marciava
per raggiungere la frontiera,
per far contro il nemico una barriera…

Muti passaron quella notte i fanti:
tacere bisognava, e andar avanti!

S’udiva, intanto, dalle amate sponde,
sommesso e lieve il tripudiar dell’onde,
Era un presagio dolce e lusinghiero.

Il Piave mormorò:
“Non passa lo straniero!”

Ma in una notte trista si parlò di tradimento,
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento…
Ahi, quanta gente ha vista
Venir giù, lasciare il tetto,
per l’onta consumata a Caporetto!

Profughi ovunque! Dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i suoi ponti.

S’udiva, allor, dalle violate sponde,
sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come u singhiozzo, in quell’autunno nero,

Il Piave mormorò:
“Ritorna lo straniero!”

E ritornò il nemico
Per l’orgoglio e per la fame:
volea sfogare tutte le sue brame…
vedeva il pianto aprico,
di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora…

“No!” disse il Piave, “No!” dissero i fanti,
“Mai più il nemico faccia un passo avanti!”

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,
e come i fanti combatteva le onde…
Rosso col sangue del nemico altero,

Il Piave comandò:
“Indietro va, straniero!”

Indietreggiò il nemico
Fino a Trieste, fino a Trento,
e la Vittoria sciolse le ali del vento!
Fu sacro il patto antico:
tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro, Battisti…

L’onta cruenta e il secolare errore
Infranse, alfin, l’italico valore.

Sicure l’alpi… Libere le sponde…
E tacque il Piave: si placaron le onde…
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,

la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri.

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