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I FINANZIERI SI DIFENDONO: “SIAMO VITTIME ANCHE NOI”

Gentile
direttore, il quotidiano da Lei diretto in questi giorni è tornato ad occuparsi
dell’evasione fiscale, uno dei problemi più gravi che affligge il nostro Paese
e che ne impedisce uno sviluppo equo e solidale. 

Lo ha fatto prendendo
spunto dalla lettera con la quale un anonimo collega Le esponeva le sue
personali considerazioni. Al riguardo, vogliamo fornire ai suoi lettori il nostro
punto di vista sull’attività che i finanzieri tutti giorni, con impegno e
serietà, svolgono a favore della collettività.
Non
solo piccoli
 – Non ci occupiamo solo
di piccole realtà economiche, gran parte del nostro lavoro è legata al
contrasto delle frodi e viene svolta più attraverso indagini giudiziarie che
con lo svolgimento di ispezioni amministrative. La nostra attività in materia
fiscale si incentra oramai, in modo significativo, su evasioni di tipo
internazionale (esterovestizioni, transfer pricing, frodi carosello,
eccettera). Le recenti decisioni di importanti gruppi economici di chiudere le
loro posizioni con il fisco attraverso il versamento, ciascuno, di centinaia di
milioni di euro sono frutto del nostro lavoro.
Come tutte le organizzazioni che si prefiggono livelli di efficienza, abbiamo
obiettivi che dobbiamo conseguire. Tali obiettivi sono la formale
demoltiplicazione di quelli che, annualmente, compongono l’azione dei governi
che si succedono alla guida del Paese.
Gli
obiettivi
 – Tali obiettivi sono
diventati via via più pressanti per due ordini di ragioni:
– la Guardia di Finanza, dal 2001, non è più solo la «polizia delle tasse», ma
anche l’organo che svolge controlli in materia di spesa pubblica, nonché di
mercato, sia di quello dei capitali che dei beni e dei servizi;
– la progressiva riduzione del personale (mancano oramai 10.000 effettivi
rispetto agli organici) e delle risorse per il funzionamento.
Sotto
pressione
 – Ne consegue che la
struttura e le persone che la compongono sono sotto pressione perché tutti i
governi hanno cercato, da un lato, di risparmiare sui costi, dall’altro, di
incrementare i risultati in termini di gettito fiscale, di efficienza della
spesa pubblica e di maggiore legalità nel funzionamento dei mercati. Nonostante
ciò, continuiamo ogni giorno a fare il lavoro per cui siamo pagati, con serietà
e professionalità, senza alcun accanimento o vessazione e nel solo obiettivo di
tutelare gli interessi della collettività. Questo non significa,
ovviamente, che va tutto bene: il sistema fiscale ha bisogno di riforme
strutturali, la tassazione va ridotta, la legislazione va semplificata, occorre
puntare decisamente sull’adempimento spontaneo e sulla prevenzione. In ogni
caso, una cosa è certa: l’evasione fiscale va duramente contrastata in quanto
socialmente inaccettabile, poiché mina alla base la giustizia nei rapporti fra
i cittadini, prima ancora che fra cittadini e Stato. Questo Paese, purtroppo, e
lo diciamo con cognizione di causa, vista la professione che svolgiamo, è affetto
da forme di illegalità diffusa che attraversano settori tutt’altro che
irrilevanti della nostra società.
Giustificare in qualunque modo l’evasione vuol dire non comprendere che senza
legalità non c’è speranza di futuro. Le nostre «visite» non fanno piacere:
non lo possono fare. Men che meno possono far piacere i sequestri patrimoniali
operati, peraltro, sempre a seguito delle decisioni dell’Autorità giudiziaria.
Possiamo capire lo stato d’animo di alcuni lettori.
Capiteci – Chiediamo a loro, però, di comprendere anche il
nostro non facile ruolo in un Paese dove l’evasione fiscale è stata per troppo
tempo considerata un peccato veniale e non una furto a danno degli
onesti. Ci teniamo a precisare, altresì, che a differenza di quanto
avviene per le Agenzie fiscali, i nostri stipendi, compresi quelli dei
dirigenti, non sono in alcun modo legati alle verbalizzazioni. Non esiste una
retribuzione di risultato, ovvero il nostro compenso non cambia se il controllo
fiscale è positivo. Non solo, i nostri stipendi sono bloccati dal 2010, ciò
vuol dire che se una persona meritevole nel frattempo ha migliorato la sua
posizione, assumendo nuovi ruoli o responsabilità, continua a percepire la
retribuzione che aveva nel 2010 a prescindere. Anche noi, come detto, auspichiamo
riforme della legislazione fiscale e dell’apparato di controllo. Siamo
disponibili al dialogo e al confronto con tutte le componenti sociali per
migliorare la Guardia di Finanza, ma a una cosa teniamo: la nostra
dignità! Non possiamo accettare di essere etichettati come coloro che
chiedono «tangenti di Stato». Applichiamo leggi e direttive di uno Stato
democratico, il quale appresta i rimedi necessari a tutelare la posizione di
coloro che si ritengano ingiustamente lesi nei diritti.


Il Cocer Guardia di Finanza


lettera inviata al quotidiano Libero

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