I CARABINIERI STANNO PER PROMUOVERE IL GENERALE SOTTO INDAGINE PER CONSIP
(di Giacomo Amadori per LaVerità) – Emanuele Saltalamacchia, a rischio processo per favoreggiamento, verso il comando di divisione. Invece l’ex capo del Noe Sergio Pascali denuncia: «Del Sette, pure lui indagato, stoppò una medaglia al reparto che ha dato il via all’inchiesta». Le indagini contro il Giglio magico, è stato bocciato e ha dovuto subire umiliazioni e pressioni. Nell’indagine Consip sono tuora invischiati l’ex comandante generale Tullio Del See (è accusato di rivelazione del segreto d’ufficio e di favoreggiamento) e Emanuele Saltalamacchia (favoreggiamento). Del Sette nel gennaio scorso è andato in pensione, mentre il renzianissimo Saltalamacchia, con ogni probabilità, diventerà generale di divisione entro dicembre, nonostante la sua posizione di quasi imputato (sono finite le indagini preliminari nei suoi confronti e la Procura, salvo colpi di scena, ne chiederà il rinvio a giudizio). L’ufficiale il 12 dicembre scorso era stato sospeso dall’avanzamento di carriera a causa dell’inchiesta. Infatti la commissione che doveva decidere la sua promozione era stata convocata proprio nel giorno i cui i giornali raccontavano l’interrogatorio reso 24 ore prima dallo stesso Saltalamacchia in Procura come indagato. Da allora l’ufficiale si è dato un gran da fare per tornare in pista. Tanto che a giugno ha presentato in Procura una memoria della compagna Stefania Fanfani che avrebbe dovuto scagionarlo, ma che in realtà ha finito per far iscrivere sul registro degli indagati la donna per false dichiarazioni ai pm.
Nei mesi scorsi Saltalamacchia ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio contro la sospensione del giudizio di avanzamento al grado superiore, costituendosi contro il ministero della Difesa. Il Tar, lo scorso 10 ottobre, non ha accolto il ricorso perché nel frattempo l’Avvocatura erariale aveva fatto sapere che il giudizio di avanzamento «verrà riattivato non solo con efficacia ex tunc (cioè ora per allora, ndr), ma utilizzando la medesima documentazione caratteristica afferente al giudizio sospeso entro il 12 dicembre 2018». In pratica se è vero che il Tar ha respinto la richiesta di Saltalamacchia, l’ordinanza non è stata una sconfitta per lui. Anzi. Infatti la decisione è stata presa «alla luce della rappresentata riattivazione della valutazione del ricorrente che dovrà effettuarsi entro i prossimi due mesi».
Gli esaminatori dovranno portare indietro gli orologi di quasi un anno e tenere conto della «mera assunzione dello status di indagato del ricorrente». Tradotto per coloro che non sono adusi al linguaggio giuridico, Saltalamacchia, al momento generale di brigata, verrà valutato in base ai titoli del dicembre 2017 (quando non era ancora un quasi imputato) e quindi, gli si prospetta una promozione praticamente certa a generale di divisione, nonostante le gravi accuse che pendono su di lui e sulla sua compagna. Se Saltalamacchia, sospettato di aver spifferato notizie sensibili riguardanti il fascicolo Consip, sarà quasi certamente promosso, chi, invece, quelle inchieste aveva innescato con il lavoro del proprio reparto, ovvero il comandante del Noe Pascali (attualmente testimone) è stato bocciato. L’anno scorso non gli è stato assegnato il grado di generale di divisione e il conseguente aumento di stipendio. La commissione che non lo ha ritenuto idoneo era presieduta dall’indagato Del Sette, il quale, come specificò a verbale, aveva giudicato la propria posizione perfettamente compatibile con il ruolo. Una decisione fortemente criticata da Pascali: «A 30 giorni dal congedo ha ritenuto di presiedere una commissione in cui uno dei valutandi ero io, che guidavo il reparto dalle cui investigazioni era scaturita la sua posizione di indagato. Cose mai successe nell’Arma sino ad allora. Tutto sarebbe stato lineare se il nuovo comandante, generale Giovanni Nistri, insediatosi il 15 gennaio 2018, avesse presieduto lui la commissione di avanzamento per cui non c’era nessuna urgenza, atteso che nell’Arma da decenni gli ufficiali vengono valutati nei mesi di febbraio e marzo, vedendosi riconosciuta retroattivamente l’anzianità al primo gennaio. Evidentemente io dovevo essere esaminato da Del Sette». Pascali, ad agosto, ha lasciato il suo vecchio comando e oggi lavora all’Eni ed è uno dei primi ufficiali dell’Arma a non occuparsi di sicurezza, ma a essere stato inserito in un contesto economico strategico. «Perché è un uomo assolutamente impermeabile alle tentazioni» in un settore dove gli investimenti sono elevatissimi, sottolineano i suoi estimatori.
Il generale non è solo amareggiato per come si è conclusa la sua carriera nell’Arma, ma anche per le pressioni che ha dovuto subire dal governo targato Pd e dai vertici dei carabinieri durante l’inchiesta Consip. «Non mi sono rivolto alla Procura militare per denunciare i fatti a mia conoscenza, solo perché quando li ho appresi era già in corso una fervorosa attività giudiziaria diretta dalla Procura di Roma, che aveva portato all’iscrizione sul registro degli indagati di Del Sette e Saltalamacchia. Nei mesi successivi ho pure saputo che il mio vicecomandante, il colonnello Alessandro Sessa (indagato a Roma per depistaggio, ndr), andava a riferire al capo di Stato maggiore Gaetano Maruccia (sembra che ci sia andato sette volte, ndr) notizie sull’indagine Consip che io ignoravo. Neanche in quel caso ho potuto prendere provvedimenti». Come mai? «Nell’aprile del 2017 ho avuto ordine di non procedere disciplinarmente nei confronti di Sessa perché avrei dovuto contestargli il fatto che, andando a riferire direttamente a Maruccia, mi avesse scavalcato e in tal modo avrei toccato la sfera d’azione del capo di Stato maggiore. In sostanza mi è stato dato l’ordine formale di non esaminare la posizione di Sessa perché avrei dovuto chiedergli: per quale motivo andavi a parlare a Maruccia? Io ho lasciato il comando Tutela ambiente il 29 agosto 2018 e, prima di allora, per un anno e mezzo, nessuno mi ha mai sollecitato a occuparmi di Sessa. Mi chiedo: perché il mio vice andava a parlare direttamente con miei superiori, quando vi era un’indagine giudiziaria a pieno regime? Maruccia avrebbe dovuto vietare a Sessa di conferire con lui e mi avrebbe dovuto convocare per dirmi: “Guarda che i tuoi uomini vengono a riferirmi di questa indagine. Se ci sono sviluppi investigativi rilevanti dovrai essere tu a venire a informare il comandante generale”. Ciò non è mai successo. Io non ho mai parlato con Maruccia di questa indagine, mentre i miei andavano a riferire a lui con metodi carbonari. Lo sottolineo: carbonari».
Secondo il generale in congedo ci sono verificate pure altre stranezze durante lo svolgimento dell’inchiesta. «Sessa, anche se io non lo volevo, mi è stato imposto come vicecomandante dal vertici dell’Arma, in sostituzione niente di meno che del colonnello Ultimo (al secolo Sergio De Caprio, ndr). Io, di mia sponte, non avrei mai dato il mio assenso al suo trasferimento e a quello dei 26 uomini che lo hanno seguito ai servizi con l’esclusiva regia del Comando generale, che voleva metterlo nelle condizioni di non nuocere all’Arma e a quelle frange politiche che il colonnello in passato aveva coinvolto nelle sue indagini a partire da quelle relative alla Cpl Concordia, alla fondazione Icsa e al gasdoo di Ischia». Tutte investigazioni che hanno visto il coinvolgimento di esponenti del Pd. In certi ambienti, De Caprio, un ufficiale autonomo e poco controllabile, era considerato troppo vicino al pm Henry John Woodcock. Però le indagini del Noe non infastidivano solo capi dell’Arma, ma anche gli inquirenti capitolini e il governo. Al Comando tutela ambiente, nel marzo del 2017, la Procura di Roma tolse la delega alle indagini di Consip e per questo ci fu uno scambio di lettere di fuoco tra Pascali e il procuratore Giuseppe Pignatone, anche se il generale non è mai stato iscritto sul registro degli indagati. Il governo, invece, non assegnò al Noe un’importante onorificenza. «Il mio risentimento» continua Pascali, «non è per il diniego di una medaglia a me, quanto per il mancato nulla osta a una delibera del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti che attribuiva la medaglia d’oro al merito al Noe e alla bandiera dell’Arma. Non è mai accaduta una cosa del genere e se lo venissero a sapere tutti i comandanti generali che hanno guidato i carabinieri si rivolterebbero nelle tombe. L’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti dice di aver ricevuto un parere negativo da parte del Comando generale. È chiaro che il generale Del Sette o chi per lui, per ragioni di opportunità, non ha voluto che venisse conferita una solenne onorificenza a un reparto che aveva avviato le indagini sulla Consip, un fascicolo in cui lo stesso comandante era indagato per favoreggiamento personale e rivelazione di notizie coperte da segreto.
Dunque si è anteposto l’interesse personale alla valorizzazione del lavoro di un intero reparto che si era particolarmente distinto nel contrasto degli illeciti ambientali. Insomma nel settembre 2017 in seno allo stesso governo Gentiloni, un ministro, Galletti, deliberava un riconoscimento e un altro, Pinotti, non concedeva il formale nullaosta». Pascali è amareggiato pure per un ulteriore episodio: «Nel maggio 2017 sono stato usato per comunicare a Galletti che alla festa dell’Arma, il successivo 5 giugno, la medaglia non sarebbe stata conferita in forma solenne per questioni di opportunità, ma essa sarebbe stata assegnata successivamente. In realtà la cosa non avvenne mai. Siamo di fronte a metodi che definire argentini è poco. E mi riferisco non all’Argentina di oggi, ma all’epoca del peronismo»