Editoriale

Gen. Tricarico: “Un brutto clima nella Difesa, non promette nulla di buono e potrebbe far decadere lo standard di efficienza e professionalità raggiunti a fatica”

Dal proprio blog su Huffington Post, il Generale di Squadra Aerea Leonardo Tricarico, già Capo di Stato Maggiore della Difesa dal 2004 al 2006, esprime un proprio parere sulla recente politica della Difesa italiana. Un parere tutt’altro che positivo ed a tratti pungente. Vi riproponiamo quanto scrive il Generale Tricarico e Presidente della Fondazione Icsa.

Fino a poco fa la politica si è sostanzialmente disinteressata alla Difesa, un’anomalia che, se da un lato ha fatto mancare ai vertici militari l’indirizzo nelle scelte fondamentali, dall’altro ha comportato l’indubbio vantaggio di un’ampia libertà di azione che, in mano a persone dotate di senso delle istituzioni, ha consentito di mettere a punto uno strumento militare di contenute dimensioni ma efficiente e aggiornato.

Purtroppo oggi vi sono numerosi segnali che l’aria sta cambiando, al disinteresse del passato sta subentrando un’attenzione vacua, dilettantesca e populista i cui sintomi erano purtroppo tutti presenti nelle strampalate otto righe e mezzo del programma di governo giallo verde.

Qualche esempio chiarirà meglio.

Il numero dei militari impegnati nelle strade italiane a supporto delle forze di polizia ha superato quello dei soldati impegnati nelle missioni a protezione della pace e della sicurezza internazionali. Ossia l’utilizzo delle forze armate in compiti non propri a supplenza di carenze ormai decennali di altri comparti pubblici ha superato quello che la Costituzione e le leggi assegnano loro con tutto ciò che ne consegue in termini di spreco, perdita di professionalità e frustrazione per la sostanziale inutilità del proprio ruolo.

Come se non bastasse si torna a parlare di mini naja, un provvedimento questo sì medievale e fuori da ogni logica oltre che fonte ancora una volta di spreco, ed in barba a chi voleva eliminare gli sprechi.

Non mancano poi le variazioni sul tema, quelle che a ogni pie’ sospinto fanno ritenere salvifico l’uso dei soldati come panacea per problemi di ogni tipo. Le ultime sortite, quelle della sindaco di Roma, prima per riparare le strade, poi più recentemente per sorvegliare le discariche dal pericolo di incendi dolosi. Insomma soldati al posto di vigili urbani o di guardie private. Tutte opzioni di impiego che non hanno suscitato dibattito, non sono state bollate come insensate ma che, in via di principio, sono state ritenute ricevibili.

E ancora. Nascono i sindacati militari se non nell’entusiasmo, quanto meno nel compiacimento diffuso del mondo della politica, quella di governo compresa. Nessuno che si sia sognato di far tenere agli aspiranti sindacalisti con le stellette i piedi per terra prefigurando i comprensibili limiti dell’attività sindacale, che a bocce ferme non differirà molto da quella degli attuali organismi rappresentativi; sarebbe stato troppo impopolare, meglio riceverli con la guida rossa, alimentare le loro aspettative e dar loro una legittimazione in bianco anziché rimboccarsi le maniche e scrivere le norme che ne regolino il futuro operato.

L’ultimo rigurgito di insensato entusiasmo quello con cui ieri tutti i giornali hanno riferito del compiacimento della ministro per l’unione civile di due militari omosessuali della Marina, il segno “di un’importante evoluzione culturale” ha confidato Trenta al Corriere della Sera. Un entusiasmo ingiustificato perché intanto si tratta di roba vecchia, altri casi hanno avuto evidenza mediatica in passato, con pari enfasi, la stessa che, come ora, caratterizza questa vera e propria arma di distrazione di massa; inoltre non è nata nessuna nuova cultura nei confronti dell’omosessualità, l’approccio del mondo militare a tali temi è e rimarrà nella migliore delle ipotesi, pari alla media del paese.

Per passare poi a temi meno coreografici e più direttamente afferenti alla preparazione e all’efficienza dello strumento militare, viene confermata, con notevoli segni di peggioramento, la radicata pratica di appioppare alle forze armate sistemi d’arma che esse non hanno scelto o dei quali non hanno necessità. Il caso più recente quello dei droni della Piaggio, mezzi ormai tecnologicamente superati dei quali l’Aeronautica non ha bisogno, e che nell’ambito del salvataggio di Piaggio dal default, si vorrebbero assegnare alla forza armata anziché procedere alla messa a punto di un piano industriale serio di rilancio della società.

Insomma 250 milioni buttati al vento, ancora una volta da chi voleva eliminare gli sprechi, con la Piaggio travolta dagli stessi problemi da qui a qualche mese e l’Aeronautica con un altro figlio disoccupato da sfamare.

Per non parlare infine del blocco dei fondi che il governo ha attuato su alcuni programmi pluriennali della Difesa e sulle conseguenti capacità operative, prima tra tutte quella della difesa contraerea. Contesto questo dal quale non poteva mancare l’onnipresente F35: stiamo ormai assistendo da tempo al quotidiano picconamento dell’affidabilità dell’Italia come partner in programmi multinazionali a causa delle dichiarazioni pubbliche di chi non perde occasione per sottolineare l’incertezza nella prosecuzione del programma e la possibilità che ci possa da un momento all’altro essere un ridimensionamento dell’impegno italiano. Causando così una perdita secca di prospettive per la nostra industria per la comprensibile diffidenza dei paesi partners, segnatamente gli Stati Uniti.

Questi solo alcuni esempi del brutto clima creatosi intorno al mondo della Difesa, un clima che non promette nulla di buono e che potrebbe far decadere progressivamente lo standard di efficienza e professionalità raggiunti a fatica e riconosciutici da tutti in ambito internazionale.

Resta un’unica, ma non banale speranza: quella di un Presidente della Repubblica sempre attento alle forze armate che non consentirà che, con i venti che spirano, l’asticella scenda oltre il limite di allarme e che pertanto non assisterà inerme – ne siamo certi – al progressivo deterioramento dello strumento militare italiano.

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