Finanziere assolto: non è truffa militare il doppio lavoro fuori dall’orario di servizio
Un recente caso giudiziario ha sollevato interrogativi riguardo alla condotta di un militare della Guardia di Finanza che svolgeva un “secondo lavoro” non dichiarato durante il tempo libero. Tuttavia, il Tribunale Militare ha deciso di assolvere l’imputato, poiché mancavano le prove del danno causato all’amministrazione di appartenenza. E’ il caso di militare della Guardia di Finanza in servizio in Friuli.
Il requisito del danno diretto ed effettivo nel reato di truffa
Il Tribunale ha accolto un orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, secondo il quale il silenzio mantenuto dal militare non è sufficiente per configurare il reato di truffa. Sebbene il comportamento del militare possa essere considerato un artificio, la mancanza di un danno diretto all’amministrazione impedisce di addebitargli la colpa.
È importante sottolineare che non è possibile identificare il danno nella retribuzione corrisposta dall’amministrazione al militare, poiché questi ha continuato a svolgere regolarmente le sue mansioni lavorative previste.
Secondo il Tribunale, affinché il reato di truffa sia configurato, è necessario che sia dimostrato un danno diretto ed effettivo. In assenza di tali prove, il giudice penale militare ha deciso di assolvere l’imputato, accogliendo la richiesta avanzata dal suo difensore e aderendo a precedenti orientamenti della Corte di Cassazione.
L’Omessa comunicazione
Questa decisione solleva importanti questioni sul concetto di danno e sulla sua prova nel contesto di un reato come la truffa. La questione centrale è se il semplice fatto di svolgere un secondo lavoro non dichiarato possa essere considerato dannoso per l’amministrazione di appartenenza. Nel caso specifico, il Tribunale ha concluso che senza una prova diretta ed effettiva di un danno conseguente alla condotta del militare, non è possibile condannarlo per truffa.
È interessante notare che l’orientamento seguito dalla Corte di Cassazione in questo caso è stato confermato dal Tribunale Militare, rafforzando la posizione secondo cui il silenzio o l’omessa comunicazione al Comando non costituiscono di per sé il reato di truffa.
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