ECCO LA VERA RIFORMA DELLA POLIZIA PENITENZIARIA E PERCHE’ QUALCUNO NON LA VUOLE
Da qualche tempo in modo del tutto disinteressato ho lavorato ad un progetto che servisse a dare alla Polizia penitenziaria nuovi compiti e un peso istituzionale degno della qualità degli uomini che vi fanno parte.
L’idea era quella proiettare in servizi esterni una buona parte del personale che oggi opera all’interno, poiché la giustizia e gran parte dell’esecuzione penale stanno oramai fuori dal carcere, mentre solo la polizia penitenziaria vi è rimasta dentro tutta intera.
Tutto l’ambito della giustizia penale avrebbe dovuto costituire lo spazio di competenza del nuovo Corpo.
Le novità della proposta erano essenzialmente due.
1) Aumentare le competenze esterne di Polizia, anche prevedendo servizi radiomobili sul territorio (scorte e tutela dei magistrati, protezione dei testimoni e dei collaboratori, controllo delle misure esterne e degli affidati in prova, sicurezza dei tribunali). NON limitare o ridurre in alcun modo le funzioni attualmente rivestite, ma semmai ampliarle. Questo per dare più forza e dignità di vera forza di Polizia alla Penitenziaria.
2) Riunire sotto un unico corpo le varie professionalità, per superare i conflitti che sono stati da sempre la vera debolezza dell’amministrazione penitenziaria. Conflitti nati da una separazione alimentata nel passato da differenze ideologiche, ma che non avrebbero più motivo di esistere. Educatori e assistenti sociali avrebbero continuato a svolgere il proprio identico ruolo, ma inquadrati in ruoli tecnici del corpo. Niente più contrapposizioni preconcette, niente divisioni, ma comuni responsabilità dentro una relata unitaria e finalmente forte, capace di esprimere dal proprio interno il capo dell’amministrazione.
E’ chiaro che questo progetto aveva degli avversari. Direi moltissimi avversari, anche autorevoli e conosciuti, che la pensano diversamente e non vogliono una realtà penitenziaria forte e coesa all’interno di un unico corpo. E accanto agli avversari vi erano anche molti componenti dei tavoli tecnici – oserei dire la stragrande maggioranza – che, pur senza essere avversari della riforma, erano comunque preoccupati dal fatto che il progetto potesse rafforzare la componente di polizia ed aumentare il coefficiente di sicurezza a discapito delle esigenze di trattamento.
Questo timore era stato sollevato sin nei lavori della commissione Gratteri e poi in modo molto più diretto e preoccupato nell’ambito degli stati generali dell’esecuzione penale.
Questo dunque era ed è il VERO ed UNICO problema tecnico-politico difficile da superare. La preoccupazione per il rafforzamento della componente Polizia in esito alla riforma.
L’andamento dei lavori, con il crescente entusiasmo di tutte le componenti aveva fatto crescere le possibilità di approvazione. Sorprendentemente si era avuta anche l’adesione dei funzionari pedagogici e assistenti sociali, disponibili a confluire nei nuovi ruoli tecnici, a riprova di quanto sia superata ogni pregiudiziale ideologica. E ciò aveva messo le ali a questo progetto, nonostante le fortissime ed autorevoli avversioni.
Ma ad un certo punto per ribaltare la situazione avviene un colpo di scena. Si diffonde proprio all’interno della polizia penitenziaria una voce assolutamente incontrollata e profondamente errata. Quella che la polizia penitenziaria perderebbe la qualifica di polizia giudiziaria.
Che si tratti di un dato errato è evidente: basta leggere la proposta di legge – in articolato normativo per articoli – della Commissione Gratteri allegata ai documenti del tavolo 15 sul sito giustizia.it, per capire che non si fa alcun riferimento alle funzioni di polizia giudiziaria.
Il testo normativo da noi proposto è questo:
“Il Corpo di Giustizia dello Stato, di seguito “il Corpo”, è forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile che provvede: all’attuazione delle decisioni della giustizia penale ed alla sicurezza connessa alle sue attività; alla politica dell’ordine e della sicurezza degli istituti e servizi penitenziari e del trattamento dei detenuti e degli internati, nonché dei condannati ed internati ammessi a fruire delle misure alternative alla detenzione; al coordinamento tecnico-operativo e alla direzione e amministrazione del personale, nonché al coordinamento tecnico-operativo del predetto personale e dei collaboratori esterni del Corpo; alla direzione e gestione dei supporti tecnici. Esso attende, ove il magistrato lo disponga, alla notifica ed all’esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, e di quelli che prevedono pene e misure definitive non incidenti sulla libertà, conseguenti alle sentenze passate in giudicato; garantisce l’ordine all’interno degli istituti di prevenzione e di pena e ne tutela la sicurezza; assicura le attività di osservazione e di trattamento rieducativo dei detenuti e degli internati; espleta il servizio di traduzione dei detenuti ed internati ed il servizio di piantonamento dei detenuti ed internati ricoverati in luoghi esterni di cura; cura la sicurezza e la gestione logistica dei collaboratori di Giustizia, sulla base delle norme che regolano il funzionamento del Servizio Centrale di Protezione; provvede, insieme alle altre forze di polizia, al controllo degli arrestati e detenuti domiciliari e alla loro sicurezza nonché all’attuazione delle misure di protezione in favore degli appartenenti all’ordine giudiziario e del personale del Ministero della Giustizia.”
Da nessuna parte è scritto che si perdono le funzioni di polizia giudiziaria, che peraltro sono disciplinate nel codice di procedura penale. E non è prevista alcuna modifica del c.p.p.
Ma non si può pretendere che 40.000 agenti di polpen vadano a leggere la proposta di legge e così tra il personale qualcuno ha diffuso la notizia che la polizia penitenziaria avrebbe perduto le qualifiche di polizia giudiziaria. Niente di più erroneo e fuorviante.
Però ecco che si realizza l’effetto imprevisto: la riforma improvvisamente perde quota, perché si diffonde il convincimento, tramite alcune rappresentanze, che è la stessa polizia penitenziaria a non volerla più.
Tutto nasce dalla interpretazione di una frase contenuta nella relazione della Commissione Gratteri: un commento, privo di valore precettivo, che non era stato neppure fatto proprio dal tavolo 15 – il quale richiama solo la bozza di articolato normativo della Commissione Gratteri – e che comunque NON auspicava che il nuovo Corpo perdesse le attuali qualifiche.
Quel commento – ripeto non richiamato nei lavori del tavolo 15 – era stato inserito solo per rassicurare i più garantisti circa il fatto che coloro che in concreto fossero impegnati nei compiti specialistici di giustizia non avrebbero svolto compiti di natura investigativa (servizi o sezioni), o avuto rapporti con i servizi segreti. Si tratta di una ovvietà contenuta in tutti gli ordinamenti del mondo.
Non c’entra niente con i compiti e le funzioni generali di polizia giudiziaria attualmente rivestite o con l’attività del NIC, o di altri possibili reparti investigativi.
Una tempesta in un bicchier d’acqua.
Ma intanto così la riforma è andata giù. A me dispiace molto per i miei amici della Polizia Penitenziaria ed anche per gli altri operatori che avevano creduto e sperato nella riforma. Sono certo che anche le rappresentanze che hanno assunto delle posizioni critiche lo abbiano fatto in buona fede. Ma io vi dico con molta sincerità che – in queste condizioni e dopo queste prese di posizione – non ho nessuna più nessuna intenzione di andare avanti per sostenerla.
E mi domando, chi ha sparso questa voce?
Come mai nessuno di quelli che hanno assunto posizioni ufficiali è venuto a chiedermi spiegazione? Sarebbe bastato fare presente i propri desideri o i propri dubbi ed io mi sarei comunque adeguato. Non ho alcun interesse personale in questo mio impegno. Ed è questo disinteresse la vera forza: non tornerò mai più nell’Amministrazione Penitenziaria, ma sono disposto a fare qualunque battaglia per difendere chi lavora onestamente rischiando la propria vita nelle carceri. Avrei accolto qualunque ragionevole proposta o richiesta. Mi sarei confrontato, come ho dimostrato di voler fare sentendo personalmente tutte le rappresentanze durante i lavori del tavolo 15.
Ma oggi probabilmente è tardi, l’iniziativa riformatrice è stata abilmente indebolita; il timore sollevato su dati inesistenti ha creato preoccupazioni, manifestate certamente in buona fede. Rimane il rammarico di una comunicazione non completa e il dubbio che qualcuno abbia lavorato per spaccare un fronte, con l’effetto che potrebbero essere in 40.000 a pagare il prezzo della mancata riforma.
Sebastiano Ardita Procuratore aggiunto di Messina
tratto da facebook