Daspo urbano al trapper, il Tar annulla il provvedimento: “Deve potersi esibire”. Era salito sul cofano dell’auto della polizia ingiuriando le istituzioni
Il 20enne Mattia Barbieri, in arte “Rondo da Sosa”, “è un esponente di spicco della scena musicale rap/trap italiana” e “pertanto, la possibilità di accedere a discoteche, pub e luoghi di ritrovo risulta fondamentale affinché possa svolgere l’attività di cantante“.
È quanto scrive il Tar lombardo nelle motivazioni, pubblicate nei giorni scorsi, della sentenza con cui ha annullato un cosiddetto “daspo urbano” a carico del giovane, che gli impediva per due anni “l’accesso ad ogni locale di pubblico intrattenimento”, a Milano, “e ad ogni esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande, nonché la sosta nelle immediate vicinanze”.
Il provvedimento era arrivato in conseguenza di disordini che si erano verificati davanti alla discoteca milanese “Old Fashion” il 12 luglio 2021. Quella sera, dopo che gli addetti alla sicurezza gli avevano vietato di entrare nel locale, ricostruisce il Tar sulla base del provvedimento notificato dalla Questura a fine agosto 2021, Rondo da Sosa aveva chiesto aiuto a Baby Gang, nome d’arte del 20enne Zaccaria Mouhib, anche lui trapper noto alle cronache e con centinaia di migliaia di follower sui social, “che sarebbe giunto sul posto con circa 30 persone armate di bastoni, bottiglie di vetro e spranghe” e la situazione era “sfociata in azioni violente”.
Per dimostrare la “pericolosità sociale” di Rondo, nel provvedimento di prevenzione si evidenziava anche il suo atteggiamento “di disprezzo” per le “regole del vivere civile“: in un video postato sui social saliva “prima sul cofano e poi sul tettuccio” di un’auto della polizia “pronunciando frasi ingiuriose contro le istituzioni“.
Per la prima sezione del Tar milanese (presidente Domenico Giordano), però, “il divieto di accesso ai locali pubblici” deve essere “riferito a luoghi specificamente individuati e che siano connessi ai fatti che ne hanno giustificato l’adozione” e non si può imporre un divieto “generico”, senza tenere conto delle “esigenze lavorative” del giovane che tiene concerti nei locali. E non basta, conclude il Tar, la possibilità di richiedere singole autorizzazioni di volta in volta per esibirsi, perché così non si può portare avanti una “concreta programmazione lavorativa”.