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Chi è il Generale Claudio Graziano: il possibile ministro della Difesa del governo Draghi

Claudio Graziano è il generale al vertice del Comitato militare dell’Unione Europea, il massimo organismo militare composto dai capi di stato maggiore della Difesa dei paesi membri: da qualche giorno si fa il suo nome come un possibile ministro della Difesa del governo di Mario Draghi. Graziano è attualmente il principale coordinatore militare delle politiche comuni di Difesa e nel 2018 circolò con insistenza un video in cui si inchinava in maniera piuttosto vistosa a Jean Claude Juncker, allora presidente della Commissione Europea, dopo una stretta di mano. 

Chi è Claudio Graziano: il possibile ministro della Difesa di Draghi e quell’inchino a Juncker

Nato a Torino e quasi 67enne, Graziano era diventato Capo di Stato Maggiore della Difesa nel 2014 e in seguito aveva assunto il comando delle Forze Armate italiane nel 2015. Nel suo curriculum c’è scritto che ha frequentato l’Accademia Militare di Modena, dal 1972 al 1974, e la Scuola di Applicazione di Torino, dal 1974 al 1976, dove ha conseguito la laurea in Scienze Strategiche Militari. È stato nominato Ufficiale di fanteria, specialità alpini, nel 1974.  Nel mese di settembre 2001, ha assunto l’incarico di Addetto Militare presso l’Ambasciata d’Italia di Washington D.C., negli Stati Uniti. Dal 20 luglio 2005, ha assunto il comando della “Brigata Multinazionale Kabul” in Afghanistan. Il primo gennaio 2010 è stato promosso al grado di Generale di Corpo d’Armata e, dal 10 febbraio dello stesso anno, nominato Capo di Gabinetto del Ministro della Difesa. Il 14 ottobre 2011, è stato nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, assumendo poi l’incarico il 6 dicembre 2011.

Claudio Graziano: il possibile ministro di Draghi

Il Sole 24 Ore ricordava all’epoca che Graziano aveva superato sia il candidato francese sia quello tedesco, tanto da risultare il più votato dai 27 capi di Stato Maggiore degli Stati membri. Nel 2014 Il Foglio scriveva che la sua era una nomina prettamente renziana: Germano Dottori, segretario generale del Centro di studi strategici e di politica internazionale presso la Luiss, spiegava che Graziano “è consapevole del fatto che, tra le tre armi, l’esercito di terra, dal quale proviene, è quello rimasto più indietro nel rinnovamento del parco materiali”. Per questo, dobbiamo con ogni probabilità aspettarci, anche in questa difficile epoca di tagli e di compatibilità fissate dalla legge di stabilità, che “tenti di ottenere per l’esercito finanziamenti straordinari. Così come suo predecessore, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, aveva ottenuto lo scorso anno per la marina 5,4 miliardi, destinati alla ricostruzione della flotta militare, e mentre l’aviazione può contare su 6,5 miliardi per gli F35”.

In un’intervista rilasciata nel novembre 2020 a Repubblica Graziano parlava dei pericoli della cyberguerra: “”Le minacce di guerre tradizionali, quelle combattute con soldati e cannoni, sono potenziali. Invece il confronto digitale avviene ogni giorno: sul fronte cyber bisogna rispondere ora, non domani. Pensiamo anche all’info-pandemia, alla produzione di disinformazione contro le nostre democrazie. Uno scenario minaccioso che non viene solo da Russia e Cina, ma anche da gruppi terroristici”. E ancora:  “Oggi tutto è tecnologia: nel mondo digitale è difficile tracciare il confine tra la dimensione civile e quella militare. L’Unione ha stanziato fondi rilevanti per migliorare la capacità di reazione e garantire una sovranità tecnologica nei confronti di Stati Uniti e Cina anche in questo settore. La prospettiva è quella di arrivare a una infrastruttura Ue per la difesa cibernetica, basata su unità di risposta rapida. Ma serve un passo in più: ci vuole una legislazione comune, mentre oggi ogni Paese ha regole diverse. La reazione agli attacchi cyber richiede la collaborazione tra aziende, militari, strutture di polizia e di intelligence. Un coordinamento complesso e difficile a livello di singole nazioni, che noi miriamo a rendere europeo. Ma mentre chi gestisce o ispira le aggressioni telematiche non rispetta nessuna legge, noi dobbiamo essere in grado di rispondere rispettando i principi giuridici delle nostre democrazie. E per questo c’è urgenza di dotarci di regole comuni”.

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