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CARABINIERE UCCISO, RETICENZE NEL CONFESSARE LE MINACCE DEL COLLEGA. IL PM: «SCONCERTANTE DI FRONTE AD UN MORTO»

(di Francesca Marruco) – Non è stato affatto semplice far emergere che
Emanuele Armeni aveva minacciato altri colleghi con le armi in caserma, prima
di uccidere Emanuele Lucentini. «Ciò che emerge – scrivono i magistrati nella
richiesta di misura cautelare – è a dir poco sconcertante. Nonostante sia morto
un collega la principale preoccupazione è quella di non essere coinvolti nella
vicenda, di non essere i primi e i soli a dire la verità».

Le
minacce con le armi
, I carabinieri
vittime delle minacce «sconsiderate» che Armeni ha fatto loro con le armi, non
volevano parlare, e neanche quelli che le avevano viste. Uno di loro, intercettato
disse: «lì tutti sapevano», e ancora «io me devo andà a prende la briga di
tutti quanti.. l’ultima ruota del carro.. io da solo non dico niente». E un
altro dice«io non sento , non vedo, non vojo sapè niente». Alla fine poi quelle
minacce in qualche modo emergono e diventano parte integrante della richiesta
di misura cautelare perché viste quelle condotte tenute da Armeni in passato, i
magistrati sostengono che «consentire che rimanga ancora in libertà significa
mettere in serio pericolo tutti coloro che con lui interagiscono».
Altre
vittime?
 Ma per la procura di
Spoleto, la partita dei non detti dai militari della caserma di
Foligno non finisce qui, e lo mette nero su bianco affermando che «il
sospetto che quanto rappresentato al pubblico ministero costituisca solo la
parziale rappresentazione di una verità che molto probabilmente, quando verrà
disvelata, vedrà emergere scenari ben più ampi e allarmanti ( se possibile)di
quelli già delineati è più che fondato».
Un
casino delle madonne
. E certamente
viene da chiedersi di cosa fossero a conoscenza. Un altro militare intercettato
dice: «Stanno a fa un casino… abbiamo fatto un casino delle madonne.. siamo
partiti con il piede sbagliato noi capito, ma noo non serviva a un cazzo tutto
quello che è stato fatto.. ci vogliono anni prima di recuperare i rapporti con
la procura». E ancora «Se noi partivamo subito con le cose come stavano,
avevamo già finito, invece abbiamo fatto i fenomeni e dopo ce la mettono in
culo, è normale».

Indagini. Se
queste frasi enigmatiche e la reticenza a confessare di aver subito delle
minacce nascondano qualcosa di diverso in questa storia ancora tanto, troppo
misteriosa, lo scopriranno le indagini della procura di Spoleto che certamente
non si sono fermate, perché ancora c’è da trovare il movente di un delitto
tanto strano. E chissà che nel movente non ci siano anche altre spiegazioni.

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