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Aumenti Stipendiali dei Dipendenti Pubblici in servizio negli anni 90: La decisione della Corte Costituzionale

(di Avv. Umberto Lanzo) –  La recente sentenza della Corte Costituzionale sul contenzioso riguardante gli scatti di anzianità dei dipendenti pubblici, relativi al periodo degli anni ’80 e ’90, segna una svolta significativa. La Consulta ha riconosciuto un’ingiustizia nell’interpretazione data dallo Stato, ripristinando un diritto fondamentale dei lavoratori pubblici su un ricorso rimesso dal Consiglio di Stato e presentato da 90 ricorrenti appartenenti al Ministero della Difesa.

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Il Nodo Storico: Gli Scatti di Anzianità

Il dibattito si incentra sugli scatti di anzianità stabiliti nel 1989, con un accordo sindacale poi recepito dal Dpr n. 44 del 1990. Questi scatti prevedevano aumenti basati sull’anzianità di servizio, con importi variabili in base alla qualifica e ai periodi di servizio. Il requisito fondamentale era l’aver maturato almeno 5 anni di servizio al 1° gennaio 1990, con maggiorazioni per chi aveva raggiunto i 10 o 20 anni di servizio. In particolare con tale accordo venne fissato un importo base di 300 mila lire per le prime tre aree funzionali, per poi salire a 400 mila per le successive tre e a 500 mila per le ultime tre.

L’Intervento del Governo Amato e la Risposta dei Dipendenti

La situazione si complica con il Dl n. 384 del 1992, in cui il governo Amato prorogò i contenuti del Dpr 44/1990 anche per il triennio 1991-1993. L’amministrazione pubblica interpretò che la proroga non includesse gli scatti di anzianità, fissando come termine ultimo il 31 dicembre 1989. I dipendenti pubblici, in disaccordo, hanno sostenuto che la proroga spostasse la scadenza al 1992, dando vita a una serie di ricorsi, spesso accolti dai giudici.

La Legge del 2000 e la Decisione della Corte Costituzionale

Per limitare i ricorsi e gli aumenti, lo Stato ha introdotto con la legge n. 388 del 2000 una norma che indicava chiaramente la scadenza al 1990 per la maturazione dell’anzianità. Questa interpretazione è stata però annullata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha giudicato l’intervento legislativo incostituzionale. La Consulta ha riconosciuto che l’interferenza legislativa nei giudizi in corso viola i principi dello stato di diritto e del giusto processo, essendo ammissibile solo in presenza di “imperative ragioni di interesse generale”. Alla luce della proroga dell’intera disciplina contrattuale contenuta nel d.P.R. n. 44 del 1990 sino al 31 dicembre 1993, – ha chiarito la Corte Costituzionale – la possibilità per i dipendenti di maturare l’anzianità di servizio necessaria alla maggiorazione della RIA anche nel corso del nuovo periodo di vigenza del d.P.R. n. 44 del 1990 (1991-1993) rispondeva pienamente a ragioni di eguaglianza e di giustizia del sistema retributivo. Semmai, è stata la disposizione censurata ad aver causato una ingiustificata differenziazione retributiva a danno di quei dipendenti pubblici che, diversamente da quanto avvenuto in relazione al triennio 1988-1990, non hanno potuto valorizzare l’anzianità di servizio maturata nel successivo triennio 1991-1993 ai fini delle maggiorazioni della RIA.

Le Conseguenze della Sentenza

La decisione della Corte favorisce i dipendenti che hanno già presentato ricorso per gli scatti di anzianità nel triennio 1991-1993. Rimane da vedere se aprirà la strada a nuovi ricorsi. Tuttavia, i termini di prescrizione potrebbero essere un ostacolo, come evidenziato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota n. 1959 del 30 settembre 2022, che pone un limite di 5 anni per i crediti da lavoro.

La sentenza non solo rappresenta un precedente legale significativo, ma è anche un chiaro messaggio sulla necessità di un bilanciamento tra le esigenze finanziarie dello Stato e i diritti dei lavoratori pubblici. La decisione della Consulta apre una nuova pagina nella storia del lavoro pubblico in Italia, ponendo le basi per future discussioni e sviluppi legislativi nel campo dei diritti del lavoro.

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