A pranzo con l’auto dell’Esercito, Maresciallo condannato. Si faceva anche riaccompagnare a casa una volta finito il turno
Pranzo a casa, lontano dalla mensa della caserma. Rituale irrinunciabile nella vita del maresciallo dell’Esercito Oronzo Campana, condannato a due anni per peculato d’uso, con l’accusa di aver utilizzato le auto del reparto per andare nella sua abitazione a mangiare. E, secondo la ricostruzione del pm Antonio Clemente, il sottufficiale le macchine dell’Esercito le ha guidate anche per rientrare a casa una volta terminato il lavoro.
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Il periodo in cui il sottufficiale si è permesso il lusso di lasciare la sua vettura in garage è durato 4 mesi, tra settembre e dicembre 2014. Centoventidue giorni vissuti senza spendere un euro di benzina per il proprio mezzo.
Il danno alle casse dello Stato non è stato calcolato, e pertanto quanto abbia risparmiato rimane un dato imprecisato. Anche perché il numero di volte in cui ha usato la macchina del reparto non è stato indicato dai magistrati.
È appurato però, secondo l’accusa, che quando ha voluto, ha optato per le macchine dell’Esercito, invece che per la sua. Il percorso coperto dal militare, 48 anni, è stato tra il Reparto sistemi informativi automatizzati (Resia) e il Forte Appia, dove ha avuto l’alloggio durante gli stessi quattro mesi per cui il maresciallo è finito sotto processo. Il suo incarico, in quel periodo, era di Capo nucleo autotrasporti. Collocazione che gli ha permesso di avere a disposizione, ma solo per ragioni di servizio, un corposo parco macchine: tre Fiat Panda, tre Fiat Doblò, una Land Rover, una Fiat Stilo, una Fiat Marea e una Fiat Strada. Puntuale come un orologio, si presentava ogni giorno al lavoro verso le 9, spesso a bordo di uno dei mezzi sopra elencati. Svolgeva il suo dovere con il massimo impegno. Poi, tra 13,30 e le 14, era abituato a prendere, a sua scelta, uno dei mazzi di chiavi delle auto del reparto e tornare a casa per pranzo.
Tra la scrivania dell’ufficio e il tavolo di casa ci sarebbe stata una distanza di circa 4 chilometri tra andata e ritorno. A metterlo nei guai, proprio il fatto che fosse privo dell’autorizzazione a percorrere il tragitto con una delle auto di servizio. In ogni modo, finito di rilassarsi sulla poltrona della sua abitazione, era solito sedersi alla guida di una delle macchine dell’Esercito per rientrare al lavoro. Telefonate, riunioni, compilazioni di rapporti, attribuzioni di disposizioni ai propri sottoposti: è lungo l’elenco di mansioni svolto in modo inappuntabile dal maresciallo. Fatto sta che, secondo l’accusa, arrivata l’ora della fine del turno, il Maresciallo se ne tornava sempre a casa. A spese dell’Esercito.