Carabinieri

Il Luogotenente Furceri ucciso perché non voleva riammettere in servizio il Brigadiere

«Non cede. Non vuol cedere. Forse non cederà mai» ci aggiornavano i carabinieri a loro volta informati dai colleghi vicini al punto della negoziazione condotta dagli specialisti dei Gis, il Gruppo di intervento speciale. Del resto, il brigadiere Antonio Milia, 57 anni – «brigadiere killer», dicono adesso, dopo che è stato arrestato per aver ucciso il suo comandante Doriano Furceri – ha sconfinato orari in cui sembrava dovesse ormai capitolare. Orari in cui, nel passato, altri più strutturati di lui, magari con esistenze da balordi e assassini di professione, erano caduti. Le tre, le quattro di notte. Fasi di crollo fisico ed emotivo, di stanchezza, di sonno che supera l’adrenalina. Ma lui, niente. Se non le lacrime, se non quel ripetere ai mediatori del Gis «L’ho ammazzato», qui all’ingresso della caserma dei carabinieri di Asso, in provincia di Como, dove alle 17 Milia (si pronuncia accentando la seconda «i») aveva finito, con un colpo di grazia, il suo comandante Doriano Furceri, e dove si era trincerato rifiutando, fino alle 5.45, di arrendersi deponendo su di un davanzale la pistola d’ordinanza con la quale aveva colpito in due fasi, prima nel suo ufficio poi inseguendolo nel corridoio, il superiore, con cui da tempo immemore aveva degli screzi.

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La degenza

Ebbene i due non andavano d’accordo, viene ripetuto e ancora ripetuto, il che però significa tutto e niente: piuttosto, se i rapporti tesi erano degenerati in fatti concreti, qualche collega o ulteriori superiori ne aveva preso nota? Erano state effettuate delle profonde valutazioni? Era stato ascoltato il personale della caserma, una struttura spropositata negli spazi rispetto alle sue quotidiane funzioni, collocata com’è in un paese di nemmeno 4mila abitanti? A meno che, certo, ogni riflessione vada esclusivamente inserita nel drammatico quadro sanitario di Milia, sposato, tre figli, proprio come la sua vittima. Una forte, fortissima depressione. Il ricovero. Le cure dei medici. Il ritorno a casa, ma non al lavoro. Altri periodi duri, cupi, di tormenti e dolore.

Infine, il parere della Commissione medica militare, che decide su vicende del genere: e al quesito se tenere ancora lontano il brigadiere dal lavoro e soprattutto da una pistola nella fondina, oppure se considerarlo pronto e sereno, senza esitare ha sentenziato per la seconda opzione. Milia? Nessun problema. Eppure, al netto delle frasi di circostanza per non parlare male comunque d’un collega dinanzi a uno sconosciuto, la verità è che il brigadiere stava molto male. Anche nei giorni scorsi aveva dato ampi, eloquenti segnali di disturbi, di incompatibilità con un ambiente di lavoro, a maggior ragione, figurarsi, per uno così delicato come quello dei carabinieri.

Aveva delle ossessioni, era convinto che il mondo ce l’avesse con lui, che il capo non lo considerasse valido, che l’Arma tutta volesse farlo fuori appena possibile, che i colleghi della caserma lo evitassero apposta, che la caserma di Asso fosse divenuta un mondo insopportabile, tanto che una volta, l’avevano fermato mentre sparava contro il pavimento della struttura. Uno psicologo lo ha avuto in cura per mesi e mesi: ne ha raccolto gli sfoghi? Le fissazioni? Se sì, pur nel rispetto del segreto professionale, per quale motivo mai, sempre tenendo in conto il mestiere di Milia, non ha informato i carabinieri? Perché? Il brigadiere ne parlava in giro, ci scriveva bigliettini che depositava ovunque, su quel presunto complotto planetario ai suoi danni.

Il paese di Andrea Vitali

I componenti della Commissione medica, quelli che hanno acconsentito alla piena operatività di un uomo che andava destinato ad altra occupazione, saranno tra i primi a essere ascoltati, insieme allo psicologo, dalla Procura di Como, che coordina le indagini sull’omicidio del comandante Furceri, il quale nel 2020 era stato cacciato dai suoi vertici dalla storica sede di Bellano, paese sul lago, ramo lecchese, dopo che parecchie scritte sui muri avevano in sostanza ordinato al luogotenente di smetterla d’insidiare le mogli di chiunque. Lui, pur vincolato al silenzio, in quei giorni, al Corriere aveva confessato un timore: d’essere al centro d’una infernale macchina del fango orchestrata da qualcheduno contro cui aveva indagato magari facendolo anche condannare. Che il medesimo argomento, ovvero presunte relazioni extraconiugali, abbia un’attinenza con la tragedia di Asso, resta al momento pura speculazione. Dopo un’assenza di mesi, con i disturbi forse acuiti dal lungo periodo pandemico, il brigadiere Milia aveva ottenuto il sì al lavoro soltanto una settimana fa, ma anziché rientrare – finalmente rientrare – s’era subito messo in licenza. Avendo l’alloggio di servizio nella caserma, poteva girarvi liberamente, alla pari di Furceri che, in relazione a quella storia di Bellano, aveva altresì ricevuto la solidarietà del residente più famoso del paese, lo scrittore Andrea Vitali («Sono tremendamente addolorato»).

Il finale complicato

La strategia del Gis si è sviluppata su due canali. Un primo gruppo si è posizionato a ridosso della cancellata dalla caserma, cancellata oltre la quale c’era Milia, per occuparsi della mediazione. Una seconda squadra del Gis si è aperta un varco bucando la rete sul perimetro posteriore della caserma, entrando e raggiungendo via via le persone all’interno della struttura: i famigliari dei due carabinieri, una carabiniera che ha avuto il merito di gestire queste lunghissime ore aiutando nel «controllo» dei medesimi parenti, e forse degli ulteriori carabinieri che però, ed è un tema che ha innescato e innescherà delle domande, nonostante la superiorità numerica, il loro stesso mestiere, la delicatezza della situazione, e il contesto logistico, appunto una caserma dell’Arma, non hanno cercato di sorprendere e bloccare Milia.

Per quale motivo? Perché, ci viene spiegato, le priorità erano la salvaguardia delle vite umane, nessuna esclusa. Tanto che anche il Gis, forse «scardinando» certa enfasi mediatica, non ha condotto alcuna azione muscolare scegliendo di rendere inoffensivo il brigadiere con due taser, le pistole elettriche, e l’ausilio dell’unità cinofila. Dopodiché, per onestà di cronaca, non possiamo non raccontare il finale anomalo, ovvero conclusosi con il ferimento di uno dei Gis, super-esperti per antonomasia: nessuno si è accertato di «isolare» la pistola in precedenza poggiata da Milia; nessuno ha fatto in modo che la caduta dello stesso brigadiere, una volta colpito appunto dai taser, avvenisse non sopra quell’arma dalla quale è partito un proiettile che ha ferito, per fortuna di striscio, un Gis. Un finale complicato in una narrazione cominciata disgraziatamente.

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