Carabinieri

La lettera di Luongo ai carabinieri: quando il Comando deve metterci la faccia

C’è un prima e un dopo il discorso di Pietro Oresta. Un prima in cui il comandante della Scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze avrebbe potuto pronunciare il suo discoro con parole ritenute scomode, ma tutto sommato destinate a scivolare via nel chiuso delle aule militari. E un dopo in cui la rimozione improvvisa di Oresta ha trasformato un discorso in un caso nazionale, con riflessi che nessuna nota disciplinare potrà più cancellare.

Il cuore della polemica è tutto in quella frase che il generale Oresta pronuncia davanti ai giovani marescialli e alle loro famiglie:

“Il vostro benessere, e quello dei vostri familiari, è superiore a qualunque istruzione o procedura”.

Parole che hanno il sapore della verità, che scavalcano la retorica e restituiscono umanità all’uniforme. Ma nel palazzo del Comando Generale qualcuno decide che questa verità è troppo pericolosa. La reazione? Rimozione immediata e nessuna spiegazione. Un silenzio che pesa più di qualunque dichiarazione.

Il risultato? Un boomerang devastante. Se Oresta fosse rimasto al suo posto fino a fine mandato, il suo discorso sarebbe rimasto poco più di un aneddoto. Invece, la scelta di rimuoverlo lo trasforma in martire, le sue parole rimbalzano, si moltiplicano e diventano virali. E, per la prima volta dopo anni, l’Arma si trova costretta a inseguire la propria narrativa, mentre la base – quella vera – si interroga: vale più la disciplina o il benessere delle persone?

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Padova e la retorica della disciplina: la toppa peggiore dello strappo

A poche ore dalla tempesta, il comandante generale Salvatore Luongo non si nasconde. A Padova, in una cerimonia pubblica durante il cambio al vertice dell’Interregionale, prende la parola e affronta – almeno in apparenza – il caso Oresta. Ma la risposta è tutta giocata sul piano della retorica:

“La disciplina non è mera osservanza di regole, ma consapevole condivisione di un ideale superiore. È la forza silenziosa che regola l’agire, la virtù interiore che rende coesi i ranghi…”

Luongo parla di disciplina come valore assoluto, come trama invisibile che tiene insieme la libertà e l’ordine. Ma a ben vedere, queste parole sembrano più la risposta di chi teme di aver perso la presa sulla narrazione interna che un vero tentativo di capire la portata dell’errore commesso.

Il risultato è paradossale: la toppa è peggiore dello strappo. La disciplina, brandita come scudo, rischia di suonare come un avvertimento (“Attenti a non parlare troppo”), invece che come ispirazione. E intanto, tra i ranghi si diffonde la sensazione che il vero problema non sia quanto detto da Oresta, ma come l’Istituzione abbia reagito.


La lettera di Luongo ai Carabinieri

Dopo giorni di polemiche incandescenti e con ancora negli occhi le immagini dell’eroismo al Prenestino, l’Arma cerca di ricucire il proprio tessuto con una lettera. Il Generale Salvatore Luongo si rivolge ai carabinieri mettendo nero su bianco un passaggio che pesa:

“Voglio ribadire come, da Comandante, sia un onore e un privilegio assumersi le responsabilità per tutto quello che il comportamento esemplare dei Carabinieri determina e per i riflessi che le nostre azioni producono nelle comunità.”

Parole che non sono solo retorica. In un momento tanto delicato, Luongo sembra rivendicare la responsabilità totale per le scelte dell’Arma—incluse, forse, quelle più difficili e discusse, come la rimozione di Oresta. È un atto di leadership che, piaccia o meno, segna una linea netta: non scarica le colpe, non si nasconde dietro il “così si è sempre fatto”, ma si mette in prima persona davanti a ogni decisione e alle sue conseguenze.

Nella stessa lettera, Luongo richiama i valori storici dell’Arma, ma lo fa dando nome e volto ai carabinieri che, come il Maresciallo Assanti, hanno rischiato la vita per salvare gli altri. Così prova a rispondere alle critiche: la disciplina e il senso di appartenenza non sono vuote formule, ma trovano senso nelle scelte (anche dolorose) e nell’esempio reale di chi serve ogni giorno.

In definitiva, questa lettera è molto più di un messaggio di circostanza: è la dichiarazione per molti, pubblica e interna, che il comando si assume ogni responsabilità, anche quando le decisioni fanno rumore e dividono. Un gesto che può piacere o no, ma che, almeno per una volta, mette la faccia davanti a tutto.


Ogni mossa è un Elefante in una stanza di cristallo

C’è un dettaglio che nessuna lettera, per quanto elegante, può nascondere: la sensazione che la rimozione di Oresta sia stata decisa con una leggerezza pericolosa. Nell’Arma, ogni azione dei vertici è come muovere un elefante in una stanza di cristallo—basta un movimento maldestro, e quello che si infrange non è solo la carriera di un ufficiale, ma la fiducia stessa dell’Istituzione.

Luongo almeno, questa volta, si assume la responsabilità pubblicamente. Eppure la domanda resta sul tavolo: era inevitabile liquidare una voce scomoda solo a colpi di disciplina? O non sarebbe stato più lungimirante ascoltare, discutere, magari persino valorizzare quel punto di vista diverso invece di soffocarlo con una rimozione fulminea?

È qui che la memoria corre al caso Giuliani. Anche allora, un comandante stimato venne “spostato” senza spiegazioni, con una manovra di vertice tanto fredda quanto opaca. Era il 2014 e ai vertici dell’Arma si consumò un’altra guerra silenziosa: il generale Vincenzo Giuliani, da molti indicato come il possibile successore del comandante generale Leonardo Gallitelli, fu trasferito all’improvviso dal prestigioso Comando Interregionale Pastrengo al Comando Scuole dell’Arma.

Il trasferimento fu un fulmine a ciel sereno: nessun preavviso, nessuna motivazione pubblica, solo una convocazione d’urgenza a Roma e la comunicazione secca di spostamento. Giuliani accusò il colpo, si ammalò, chiese inutilmente di parlare con il ministro della Difesa

Nessuno ci mise la faccia, nessuno rivendicò la scelta: il potere agì nell’ombra, lasciando solo malumori e una ferita interna mai sanata. Oggi almeno c’è una firma sotto la decisione, una lettera ai carabinieri e un discorso pubblico a Padova, ma il problema resta: se chi comanda agisce con leggerezza (e non è opportunamente consigliato), ignorando l’effetto domino sulle persone e sull’Arma, il boomerang è assicurato.

La storia insegna che qui ogni gesto pesa come un macigno. Ma la tentazione di muovere “pedine” come se la base non capisse è sempre forte. Peccato che oggi, nell’era dei social, ogni errore rimbomba, ogni elefante lascia il segno, ogni stanza di cristallo rischia di andare in frantumi davanti a tutto il Paese.

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