Xi Jinping tende la mano a Putin, ma nessun asse Cina-Russia
La Russia e la Cina collaborano, hanno interessi convergenti, sanno definirli e lavorano per tutelarli. Ma non sono Paesi alleati, né tantomeno formano alcun ‘asse anti-Occidente’. Questo è lo scenario al termine della visita a Mosca del presidente cinese, Xi Jinping: la prima dall’invasione russa in Ucraina e dopo la conferma del leader cinese al suo terzo mandato.
Per capire la situazione bisogna partire da due presupposti. Gli incontri internazionali di alto livello, come quelli che Xi ha avuto in questi giorni con l’omologo russo Vladimir Putin e altre autorità del governo di Mosca, sono spesso molto caotici: densi, cioè, di immagini, dichiarazioni commenti e video. Il loro contenuto più vero e più significativo sotto il profilo politico va rintracciato invece nei dettagli e anche tra le righe delle dichiarazioni ufficiali.
Non esistono alleati, per entrambi
Il secondo elemento da tener presente è che nella grammatica e nella dottrina diplomatica cinese semplicemente non esistono alleati, almeno per come li si può intendere in altri contesti come quello della Nato. Lo stesso discorso vale per i russi, sebbene Putin abbia parlato ripetutamente del suo “caro amico” e “compagno Xi” (che invece è stato molto più sobrio in questo senso). Un vecchio detto russo, attribuito allo zar Alessandro III, diceva che gli alleati di Mosca sono solo due: l’esercito russo e la flotta russa. Da qui il concetto di “parnership globale e strategica”, il più utilizzato da entrambe le parti nei documenti ufficiali e nelle dichiarazioni dei leader.
Stesso spazio geografico, diverse agende
La ragione principale per cui Mosca e Pechino non sono e non possono essere alleate in senso stretto è data dal fatto che insistono sullo stesso spazio geografico. Entrambe considerano l’Asia centrale come il proprio “estero vicino” e i Paesi che lo compongono – dal Kazakhstan al Turkmenistan, fino alla Mongolia – come parte della propria area di proiezione. A questo si aggiungono rivalità storiche, presenti anche durante la Guerra fredda.
Differenze storiche
Mao Zedong aveva capito perfettamente la necessità di trovare una via marcatamente cinese al comunismo, per non restare schiacciato sulle posizioni dell’Unione sovietica. Vale la pena ricordare che le due parti sono state vicinissime allo scontro militare in tempi relativamente recenti.
Nel 1969, per una contesa riguardante territori di confine, ci fu il conflitto di frontiera russo-sovietico: vari scontri con tanto di dispiegamento di carri armati e mezzi corazzati, senza mai una formale dichiarazione di guerra. È stata praticamente l’unica volta che le forze armate Repubblica popolare cinese hanno imbracciato le armi contro un altro Paese dopo la rivoluzione maoista. Non è un caso, poi, se negli anni Settanta gli Usa di Richard Nixon e Henry Kissinger decisero di normalizzare le relazioni con Pechino, in modo da mettere un cuneo fra Cina e Urss e spaccare il fronte comunista.
Xi da Putin: grande accoglienza
Il presidente cinese e la sua delegazione di alto livello sono stati accolti a Mosca con tutti gli onori. Putin, nella mattinata di lunedì 20 marzo, non è andato all’aeroporto per ricevere Xi, cosa che è assolutamente conforme al protocollo. Tuttavia, durante la visita al Cremlino, il leader cinese ha ricevuto un’accoglienza di tutto rispetto, con tanto di ingresso enfatico dalla monumentale porta dorata da cui il pubblico è abituato a vedere entrare Putin. Il capo dello Stato russo ha persino accompagnato l’omologo cinese all’automobile che doveva trasportarlo in albergo, un’azione piuttosto inconsueta per il leader russo.
Rapporto sbilanciato in favore di Pechino
Al netto di questi simbolismi, occorre guardare con attenzione alle dichiarazioni e ai documenti siglati dai due leader. Da questi elementi emerge chiaramente chi fra i due interlocutori è il partner di minoranza e chi, invece, guida le operazioni. È la Russia a giocare il ruolo del vaso di coccio, la Cina quello del vaso di ferro. Si tratta praticamente di una situazione invertita rispetto alla Guerra fredda, quando era la Pechino a giocare il ruolo di partner minore e più povero di risorse.
Cosa ha ottenuto Xi: energia a prezzo di costo
Il pendere della bilancia a favore della Cina è chiaro anche da quanto scritto nel comunicato congiunto finale, pubblicato sul sito del Cremlino e dall’agenzia ufficiale cinese Xinhua. Insieme a una serie di accordi economici in vari ambiti – che dovrebbero inaugurare “una nuova era” nelle relazioni – per dirla con Xi – le parti hanno concordato di raddoppiare il gasdotto Power of Siberia.
Dovrebbe entrare in funzione nel 2030, quando Mosca fornirà a Pechino almeno 98 milioni di metri cubi di gas e 100 milioni di tonnellate di gas nauturale liquefatto. La Russia trova così un mercato alternativo a quello europeo, messo in crisi dalla guerra in Ucraina e dall’isolamento internazionale in cui Mosca si è ritrovata. Con una differenza, però, sostanziale: Pechino è nelle condizioni per ottenere energia a costi più contenuti.
La questione artica
Russia e Cina, ha annunciato Putin, sono pronte a creare un organismo di lavoro congiunto per sviluppare la rotta settentrionale artica. L’estremità a Nord del pianeta, vale la pena ricordarlo, è un obiettivo ambito sia per i vastissimi giacimenti di minerali nascosti nel sottosuolo – tra cui gas, petrolio, palladio, nichel, fosfato e bauxite – sia perché lo scioglimento dei ghiacci apre potenzialmente una rotta marittima tutto sommato nuova e libera, sganciata cioè dalla cosiddetta ‘politica degli Stretti’ che consente agli Stati Uniti il dominio delle principali rotte marittime globali (ad esempio lo Stretto di Malacca o lo Stretto di Hormuz nel Golfo).
La sovranità territoriale dell’Artico è divisa tra i Paesi che si affacciano sull’area: Russia, Canada, Usa (tramite l’Alaska), Svezia, Danimarca (tramite la Groenlandia), Finlandia, Islanda e Norvegia, che costituiscono il Consiglio Artico. La Cina, che non è affatto un Paese artico, è osservatore ufficiale del Consiglio dal 2013 – anche se l’organismo ha sospeso le sue attività dall’inizio della guerra in Ucraina – e nutre crescenti ambizioni artiche. L’intesa con la Russia – che di fatto cede un pezzo delle sue rivendicazioni sull’Artico – potrebbe essere il lasciapassare definitivo per Pechino, che entra in una partita cruciale per il futuro (complice anche il cambiamento climatico e lo scioglimento dei ghiacci).
Lo Yuan come moneta per gli scambi
Putin ha annunciato che l’economia russa, limitata dalle sanzioni sulle reti finanziarie occidentali e dal dollaro Usa, apprezza l’utilizzo dello Yuan cinese come alternativa. Soprattutto negli scambi commerciali con Paesi terzi “in Asia, Africa e America Latina”, ha dichiarato Putin. Questa decisione, che per la Cina rappresenta un guadagno sia in termini finanziari che di prestigio, contiene però alcune controindicazioni per Mosca. Come evidenzia un’analisi del Carnegie Endowement for Peace and Justice, se le relazioni con la Cina dovessero deteriorarsi, la Russia potrebbe dover affrontare enormi perdite di riserve e interruzioni dei pagamenti.
Cosa ha ottenuto Putin: gli auguri di Xi per il 2024
Durante il primo faccia a faccia con il presidente russo, Xi ha fatto una dichiarazione molto importante, dicendosi “sicuro” che il popolo russo sosterrà il leader del Cremlino alle elezioni presidenziali che si terranno nel 2024. Il sottotesto è molto chiaro: dal punto di vista di Pechino la leadership di Putin non è in discussione. Quella cinese è una risposta sia al mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale nei confronti del leader russo, sia alle speranze di chi ipotizza un cambio di regime a Mosca. Questo, sia chiaro, non vuol dire che Xi ritenga Putin un ‘amico imprescindibile’. Si tratta di semplice pragmatismo, per cui Pechino al momento non vede alternative rispetto a Putin.
Ucraina: ok al piano di Pechino, ma senza impegni
Per quanto riguarda la guerra, Putin ha affermato che la Russia può considerare il piano cinese in 12 punti come possibile base negoziale per la pace. In realtà, il piano cinese non fornisce indicazioni pratiche quanto piuttosto dichiarazioni di intenti generiche. È quindi una pezza d’appoggio utile per Mosca per dirsi dirsi pronta ai negoziati, ma senza intraprendere iniziative concrete. A livello d’immagine, Xi tende chiaramente una mano a Putin. È sufficiente il fatto che il leader cinese abbia confermato il viaggio a Mosca – invitando anche Putin a Pechino – e che non abbia ancora condannato apertamente l’invasione dell’Ucraina (che a Pechino definiscono come “crisi”).
Da Kiev, dove si attende ancora la prima telefonata di Xi all’omologo Volodymyr Zelensky dall’inizio della guerra, arrivano segnali di cautela: l’Ucraina non può inimicarsi completamente il Dragone, che potrebbe nutrire interesse per il futuro business della ricostruzione pos-bellica ed è già un partner economico di primaria grandezza.
Leggi al Costo di un Caffè: Senza Pubblicità e Con Contenuti Premium!