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VIOLENZE NELLA CASERMA DI TRIFONE: SOPRUSI ALLE SOLDATESSE, USO DI DROGHE E VENDITA DI BENI MILITARI

(di Mattia Pertoldi) – PORDENONE. Soprusi, molestie nei confronti
delle giovani soldatesse, accuse di consumo e cessione di sostanze stupefacenti
oltre alla vendita clandestina di materiale di proprietà militare.
Zone grigie
inesplorate, coperte da quel vincolo non scritto di silenzio – spesso molto
simile all’omertà – che la storia ha spesso cucito addosso agli ambienti militari.
L’esercito rischia di tornare nuovamente nella bufera, ancora al centro dei
sospetti di chi vive all’esterno delle mura delle caserme, impossibilitato
anche semplicemente a intuire quel codice interno che regola una buona parte
dell’esistenza di chi ha scelto di trascorrere la propria vita in mimetica.

Giosuè Ruotolo nella sua casa di Somma
Vesuviana: «È un’atrocità, non so perché mi trovo in questa situazione»
Nel mistero che avvolge ancora il duplice
omicidio di Trifone Ragone e Teresa Costanza sbuca, infatti, una lettera di
denuncia, firmata anonimamente da alcuni militari dell’Ariete, spedita alla
segreteria regionale di uno dei principali sindacati nazionali pochi giorni
prima del delitto di Pordenone.
Due pagine scritte a computer e inviate
dalla Destra Tagliamento nella quale i soldati – a cui è espressamente vietato
per legge sin dal 1978 iscriversi alle organizzazioni dei lavoratori e assumere
iniziative che possano avere carattere sindacale – si appellano agli uomini
della sigla federale. Una richiesta d’aiuto – anonima per evitare il rischio di
finire di fronte a un Tribunale militare – con un lungo elenco di presunte violazioni
al regolamento e di reati commessi nelle caserme dell’Ariete.
Accuse pesantissime: abusi continui ai
danni delle soldatesse, atti di nonnismo nei confronti delle reclute, utilizzo
e cessione di sostanze stupefacenti e ufficiali dell’esercito che vendevano
all’esterno carburante e materiale di proprietà della forza armata e, quindi,
dello Stato.
La lettera finisce nelle mani di un
sindacalista della Provincia di Udine che la conserva in attesa di capire come
potersi muovere per effettuare le verifiche necessarie e, in caso, presentarla
alle forze dell’ordine. Martedì 17 marzo, però, i corpi di Trifone e di Teresa
vengono ritrovati senza vita all’esterno del palasport di Pordenone.
La comparazione tra l’arma e i bossoli
rinvenuti sulla scena del crimine è già stata fatta dai Ris di Parma e ha dato
esito positivo. Il recupero del resto della pistola (dopo il caricatore) è
avvenuto, in gran segreto, la mattina di sabato 19 settembre.
Dalla lettura dei quotidiani il giorno
successivo, quindi, il sindacalista capisce come una delle vittime, Trifone,
fosse un carrista dell’Ariete, la stessa Brigata da cui proviene la lettera
inviata alla propria segreteria regionale. Ed è a questo punto che, ipotizzando
un possibile collegamento tra il delitto e la denuncia dei militari, la
consegna ai carabinieri di stanza in una stazione della Carnia friulana.
Un mistero nel mistero, forse un semplice
caso temporale o una delle tante lettere anonime che vengono cestinate
quotidianamente perchè scritte da mitomani oppure da chi vuole soltanto gettare
discredito su avversari e rivali.
Quella che resta, però, è la perplessità
per una coincidenza quantomeno strana. Non sappiamo se questa lettera sia
servita, in una maniera o nell’altra, agli inquirenti per stringere il cerchio
attorno alla caserma “De Carli” di Cordenons prima e di Giosuè Ruotolo dopo,
oppure se sia stata giudicata inutile ai fini dell’indagine. Si scoprirà,
forse, soltanto in futuro.
Al momento in cui l’inchiesta verrà chiusa
e archiviata. Intanto, però, aleggia il sospetto che, ancora una volta,
l’esercito non sia stato in grado di guarire da solo i propri mali. Un esercito
che si era appena ripreso, anche se probabilmente non del tutto, dai racconti
di quanto avveniva all’interno della Caserma “Clementi”, la casa del 235º
Reggimento “Piceno”.

Il
papà di Trifone attonito: «Mangiava e dormiva qui»
Francesco Ragone: «Mio figlio non ha mai
riferito in famiglia di problemi con lui». Al funerale dell’amico ha portato il
feretro. Il fratello Gianni: «Grande dispiacere»
Quella dove prestava servizio il
caporalmaggiore Salvatore Parolisi – condannato a 20 anni di reclusione per
l’omicidio della moglie Melania Rea – e dove andava in scena qualcosa di più di
un semplice addestramento militare. Qui non parliamo di sospetti, però, perchè
ci sono le testimonianze, crude e messe nero su bianco, di chi ad Ascoli ci è
passato come soldato.

Storie di sesso e avances, molestie e
ingiurie fino al racconto di quel caporale trasferito dalla Clementi dopo la
denuncia di una recluta che aveva trovato la forza di raccontare quello che
tutti sapevano e fingevano di non vedere: bacchettate con la canna di bambù
sulle natiche delle soldatesse.

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