UCCISE UN CARABINIERE A BASTONATE:”PERDONO IL KILLER DI MIO MARITO, NON VOGLIO SIA IN CARCERE”
chiama Claudia Francardi e un ragazzo di 19 anni ha ucciso suo marito, un
carabiniere. Ma è stata lei
stessa a lanciare un appello per il giovane killer che commise quel terribile
omicidio. Lei è proprio convinta: “Temo la prigione disumana.
e la povertà delle relazioni sociali che avrà”. Lei con il tempo è
diventata amica di Matteo, quel ragazzo che le uccise il marito, e anche di sua
madre, Irene. Si telefonano, si aiutano, sono diventate amiche. Al punto
che hanno fondato insieme un’associazione per la riabilitazione dei detenuti: AmiCainoAbele.
suo collega hanno fermato per strada Matteo Gorelli, che tornava da un rave
party. I due militari gli fanno l’acol test e il ragazzo risulta positivo. Così
iniziano i controlli ma qualcosa va storto: Antonio Santarelli e
Domenico Marino rimangono a terra, dopo essere stati riempiti di botte con
pugni e bastoni. L’agente Marino perderà l’occhio destro, mentre
Santarelli entrerà in coma e morirà un anno dopo nell’ospedale di Imola.
Insieme a Matteo Gorelli c’erano anche altre tre persone: lui però confessa e
viene portato prima in carcere e poi in un centro di riabilitazione. Ma dietro
le sbarre ci torna e ci resta: il 7 dicembre 2012 il tribunale di
Grosseto lo condanna all’ergastolo. Ha ammesso subito di aver perso la
testa e gli stessi giudici hanno parlato di una “ferocia inaudita”.
L’anno dopo la Corte d’assise di Firenze ridurrà la pena a 20 anni. Così il 29
aprile del 2015, dopo che la Cassazione ha confermato la condanna, Matteo viene
prelevato e portato nel carcere di San Vittore.
DELLA MOGLIE E DELLA MADRE – Claudia e
Irene sono convinte che Matteo sia cambiato e sono certe che questo
carcere possa solo fare del male. Per questo la loro associazione ha
l’intenzione di “diffondere la cultura della
riconciliazione”: Irene e Claudia sperano di poter aiutare e dare sostegno
alle tante persone che per svariati motivi si trovano a affrontare questo
dolore.
scritto Matteo in questi anni, “A 20 anni tra nebbia e ossigeno”, la
prova che in questi anni di riabilitazione qualcosa è cambiato. Per questo
Claudia non chiede vendetta ma solo giustizia e in questo carcere, in quella
cella di San Vittore, tutto il lavoro che Matteo ha fatto in questi lunghi anni
di processo rischia di arrestarsi.
Claudia vorrebbe tanto che Matteo potesse abbracciare di nuovo sua madre, la
sua amica Irene. “Siamo unite nella speranza che diventi da adulto una
persona capace di onorare la memoria di Antonio, un uomo che credeva nel suo
mestiere, che era al servizio degli altri” conclude
Irene. “Questo sistema carcerario non offre possibilità. Che
me ne faccio io della soddisfazione di saperlo recluso? A cosa serve? Non alla
società. Non a lui. E a me? A me toglie solo altra dignità” conclude
Claudia, che spera ancora che Matteo possa continuare il suo percorso.