Trent’anni dopo il sangue, arriva la giustizia: carabiniere ferito in un blitz anti-Camorra riconosciuto vittima del dovere
Spari al bunker: l’alba di sangue del 9 ottobre 1993
Alle prime luci del 9 ottobre 1993, il silenzio delle colline di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, fu squarciato da una sparatoria. Era in corso un blitz ad altissimo rischio in una villa-bunker, dimora del boss della Camorra Fiore D’Avino, allora latitante. Tra i militari del Comando provinciale di Napoli – Gruppo Castello di Cisterna, c’era anche un brigadiere palermitano, oggi luogotenente dei carabinieri in congedo.
Durante l’irruzione, un colpo partito da una finestra lo colpì alla coscia: a sparare fu Salvatore Rosa, pregiudicato e finto commerciante di pellami, formale proprietario dell’immobile. La ferita fu grave, l’operazione fallita. Ma quel proiettile ha continuato a fare male per trent’anni, almeno fino a oggi.
Una ferita che non guarisce: la battaglia legale per la verità
Dopo il ferimento e l’ospedale, arrivò il riconoscimento della causa di servizio. Ma non bastava. Quando il carabiniere presentò domanda per ottenere il riconoscimento dello status di vittima del dovere, il Ministero della Difesa rigettò l’istanza, pur riconoscendo ufficialmente che la lesione era avvenuta in servizio.
Una contraddizione insanabile, sanata solo oltre trent’anni dopo dal Tribunale del Lavoro di Palermo. A rappresentarlo in aula è stato l’avvocato Gabriele Licata, che ha ottenuto la sentenza favorevole firmata dal giudice onorario Anna Di Falco.
La sentenza: “Fu contrasto alla criminalità. È vittima del dovere”
La decisione del giudice è limpida:
“Non pare dubitarsi che gli incidenti occorsi siano riconducibili alle previsioni di legge, in particolare al contrasto ad ogni tipo di criminalità”, si legge nel dispositivo.
Viene quindi confermato che l’invalidità riportata dal luogotenente è direttamente collegata all’azione di contrasto alla Camorra e che l’Amministrazione aveva già riconosciuto la dipendenza da causa di servizio.
Il verdetto comporta l’obbligo per il Ministero della Difesa di corrispondere i benefici economici previsti dalla legge, a partire però solo dal 6 maggio 2019, per effetto della parziale prescrizione dei diritti maturati. Una giustizia parziale, ma pur sempre giustizia.
Dal Vesuvio a Palermo: una storia dimenticata di coraggio
Il caso di questo militare palermitano, oggi in pensione, è emblematico del silenzio che spesso avvolge le storie di chi ha servito lo Stato in prima linea, finendo per restare ferito non solo nel corpo, ma anche nella memoria collettiva.
Nonostante le ferite fisiche, e una grave epatite contratta negli anni ’80 in servizio, ha continuato a indossare l’uniforme, silenziosamente. Oggi, la sua battaglia non armata ha vinto nei tribunali, e il suo nome rientra finalmente tra coloro che lo Stato riconosce come vittime del dovere.
Quando la memoria è giustizia
Trent’anni dopo, una pistola sparata da una finestra della Camorra ha trovato il suo contrappeso nella giustizia italiana. Il riconoscimento di oggi non cancella la ferita, ma ridà dignità a un uomo e al suo servizio allo Stato.
E ci ricorda che, a volte, l’eroismo si misura anche nel non arrendersi all’oblio.
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