TRASFERIMENTI POLIZIA: NON BASTANO NEMMENO 35 ANNI DI SERVIZIO PER RAGGIUNGERE LA PROPRIA DESTINAZIONE
<< se sei stato trasferito in una sede per assistere un familiare che versa in gravi condizioni di salute (L.104/92) e questo familiare muore, ovvero vengono a mancare le condizioni che avevano legittimato l’avvicinamento, se a morire è stata tua moglie hai diritto a permanere in sede, se invece a morire è stata tua madre, allora devi rientrare nella sede di provenienza…!!! >>
Questo infatti è quello che si è sentito riferire il Segretario Generale NSP Roberto Intotero quando ha sottoposto all’attenzione della Divisione trasferimenti il caso umano a dir poco assurdo di C.I., un A.C. di 55 anni che alla soglia della pensione (35 anni di servizio) aveva richiesto e finalmente ottenuto nel 2015 il trasferimento vicino casa, ma solo in forza dell’art. 33 comma 5 L.104/92 dovendo assistere necessariamente la madre gravemente malata e unica persona rimasta in vita della sua famiglia (la madre morirà purtroppo dopo pochi mesi).
Non appena morta la madre, la Dirigente in questione, diversamente da altri casi, ha avviato immediatamente nei suoi confronti il procedimento per il trasferimento in altra sede. Il malcapitato dipendente precisava nelle sue osservazioni che il proprio nucleo familiare si era completamente e prematuramente estinto a causa dei precoci decessi del fratello (investimento stradale nell’81) della sorella (tumore nel 2012), del padre (nel 2012) e della madre (tumore nel 2016) ed era rimasto unico e solo (in quanto celibe) membro della famiglia, per cui chiedeva, anche in considerazione della notevole anzianità di servizio maturata (35 anni) di permanere in quella sede, ovvero in quell’agognato ufficio (si pensi che la sua domanda di trasferimento risale al 1988), consentendogli di trascorrere gli ultimi anni della sua carriera, nell’unico contesto dove ancora avrebbe trovato un minimo di stimoli e di spinta motivazionale per svolgere il servizio di Polizia, seppure in condizioni di solitudine assoluta.
E invece, con un provvedimento privo della benché minima motivazione firmato dal Dirigente Longarzia, la Divisione ha negato la richiesta di permanere in quella sede, notificando il rientro, con effetto immediato alla sede di provenienza, sita a circa 250 km.
Tutto legittimo, se non fosse che in una situazione esattamente identica, la D.ssa Longarzia, abbia gestito il caso di altri due dipendenti (con anzianità di servizio addirittura inferiore) con un criterio (e con esito) completamente diverso.
Infatti, altri due Assistenti capo che si trovavano nelle stesse identiche condizioni giuridiche, sono sono stati trasferiti in maniera definitiva in quello stesso ufficio dove l’Ass. capo C.I. aveva chiesto invano di permanere. Nella sostanza, in tutti e tre i casi era avvenuta la morte della persona assistita, ma solo in un caso è stata aperta la procedura d’ufficio per trasferimento in altra sede, (oovero quello del malcapitato C.I.) creando così una palese e ingiustificabile discriminazione tra pari qualifica, avvantaggiando per giunta i due dipendenti con la minore anzianità di servizio e con la minore anzianità di sede.
Ad oggi quindi ci troviamo nella paradossale situazione che su tre dipendenti pari qualifica, con identiche condizioni giuridiche, tutti trasferiti per esigenze di natura assistenziale dalla medesima sede al medesimo ufficio, solo uno e’ dovuto rientrare per cessate esigenze assistenziali, ovvero il dipendente con la maggiore anzianita di sede nonché con la maggiore anzianità di servizio, mentre per gli altri due, non è neanche mai stata instaurata la procedura di rientro ai sensi dell’art. 33 comma 7 bis legge 104/92 e tutt’ora questi risultano stabilmente in forza in quell’ufficio.
Questo è solo uno dei numerosi casi di discriminazione che ci sono stati segnalati e che abbiamo portato all’attenzione del Dirigente della Divisione la quale, tra l’altro, non ha mai dato alcun riscontro nonostante le numerose sollecitazioni scritte, dimostrando un comportamento ostile, scorretto nonchè palesemente antisindacale, per il quale il NSP ha dato mandato ai suoi legali di citarla al Tribunale del Lavoro.
Il NSP ritiene che non sia più possibile andare avanti con condotte inaccettabili come queste, sopratutto per un amministrazione che si definisce Garante di legalità, anche alla luce della grave incompatibilità in cui si trova la Dirigente in questione.
A prescindere dal fatto che la predetta dirigente non è risultata all’altezza dell’incarico ricoperto, si chiede il rispetto di un principio di alternanza a cui determinati uffici, in virtù della loro delicatezza e rilevanza, devono essere necessariamente assoggettati per poter garantire imparzialità e buon andamento.
LA SEGRETERIA NAZIONALE del NUOVO SINDACATO di POLIZIA