Telefoniche, ambientali e telematiche: come funzionano le intercettazioni
Le intercettazioni e il loro utilizzo sono tornati al centro del dibattito dopo l’annunciata “rivoluzione copernicana” del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Abbiamo intervistato l’ex magistrato Francesco Mandoi che ha spiegato in quali situazioni vengono utilizzate e come vengono effettuate.
Dalla foce dell’Orinoco, in Colombia, all’ Albania passando per l’Italia. Questo, sulla carta, il viaggio via nave di tonnellate di cocaina, interrotto sul nascere grazie all’utilizzo delle intercettazioni già nel 2001. A raccontarlo è l’ex magistrato Francesco Mandoi, alle spalle una carriera da procuratore della Direzione nazionale antimafia: “Il 90% dei processi per traffico internazionale di sostanze stupefacenti si svolge attraverso l’attivazione di questo strumento”, permettendo “di individuare organizzazioni transnazionali altrimenti non identificabili”, spiega l’ex pm ad upday.
Telefoniche, ambientali, telematiche: quali e quante sono
Nel Codice di procedura penale (Cpp) le intercettazioni sono elencate tra i mezzi di ricerca della prova (artt. 266-271), cioè tra quegli strumenti, come anche ispezioni, sequestri e perquisizioni utili nella fase delle indagini preliminari per l’accertamento di un reato.
Manca però una definizione più precisa, che si può invece trovare in alcune sentenze della Corte di Cassazione: “L’intercettazione consiste nell’apprensione in tempo reale di una comunicazione in corso”, realizzata “senza che gli interlocutori (o almeno uno di essi) ne siano a conoscenza”. Un esempio, dice Mandoi, è “la registrazione che mi sta facendo in questo momento, se fosse utilizzabile processualmente e se fosse a mia insaputa”.
Se prima dell’avvento di Internet, c’erano solo le intercettazioni telefoniche o tra presenti (anche dette ambientali), a partire dagli anni ’90 si diffondono le prime di flussi telematici, che consistono nella captazione del traffico online. Oggi, il mezzo più efficace (e invasivo) è dato da software detti “trojan” – da “trojan horse”, “cavallo di Troia” – malware che, una volta inoculati all’interno di un telefono o un portatile via mail o sms, permettono alla polizia giudiziaria l’accesso completo a microfoni, telecamere, registratori e tastiere in tempo reale e senza lasciare traccia. Proprio perché pervasivo, l’uso del trojan viene limitato ai reati di criminalità organizzata e terrorismo (Cpp art. 51, commi 3-bis e 3-quater), a cui la Riforma Bonafede ha anche aggiunto i reati gravi contro la Pubblica amministrazione.
Se conoscere il numero esatto dei dispositivi impiegati per le intercettazioni è pressoché impossibile, secondo il bilancio del ministero della Giustizia nel 2022 lo Stato italiano ha stanziato più di 213 milioni di euro. Mentre l’ultimo dato statistico (2021) riporta 95.379 “bersagli” totali, suddivisi per tipologia: le intercettazioni telefoniche sono più del 76%, seguite dalle ambientali (circa il 13%), dalle informatiche (circa il 5%) e dai trojan (3%). Questo dato non fa emergere neanche il numero dei soggetti coinvolti dal momento che diverse tipologie possono riguardare uno stesso indagato, che può avere anche più di un cellulare.
Intercettazioni giudiziarie: i casi e i limiti
Se da un lato la Costituzione riconosce il diritto “inviolabile” alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e “di ogni altra forma di comunicazione” (art. 15), specifica anche che la sua limitazione può avvenire “soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge”. In effetti, “le intercettazioni ordinarie sono quelle richieste dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero” dice Mandoi “e sono svolte dalla stessa solo dopo l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari e per reati specifici”.
Reati racchiusi nell’articolo 266 del Cpp: “Il ‘primo comma lettera a’ indica un criterio quantitativo – spiega l’ex pm – le intercettazioni sono possibili per i reati non colposi per cui è prevista una certa pena, l’ergastolo o la reclusione con una pena massima più alta di cinque anni. La ‘lettera b’ prevede un criterio misto, cioè alcuni tipi di reati (contro la Pubblica amministrazione, ndr) punibili ‘con una pena superiore a’ e per gli ultimi commi c’è il solo criterio qualitativo”, ne viene cioè fatto un elenco. Si va da quelli relativi alle sostanze stupefacenti, alle armi e alla contraffazione, fino alle molestie e alla pedopornografia.
Anche in questi casi l’autorizzazione avviene solo in presenza di gravi indizi di reato e se l’utilizzo delle intercettazioni è assolutamente indispensabile per il proseguimento delle indagini. La durata è di 15 giorni prorogabili. Per i reati di criminalità organizzata e terrorismo bastano sufficienti indizi di reato e che l’uso sia “necessario” perché l’inchiesta vada avanti. L’autorizzazione vale 40 giorni, prorogabili. Il domicilio resta inviolabile, tranne che nei casi in cui “vi è fondato motivo di ritenere che lì si stia svolgendo l’attività criminosa”. Una condizione che non vale per i reati di criminalità organizzata e terrorismo.
Come si eseguono
È la polizia giudiziaria a intercettare e a redigere il verbale delle operazioni, insieme a una trascrizione del contenuto sommario detta “brogliaccio”. Per legge, le autorità giudiziarie non hanno l’obbligo di riportare tutto ciò che viene captato, ma solo il contenuto rilevante ai fini delle indagini. Il pubblico ministero può però ordinare la trascrizione coatta delle parti tralasciate, mentre il difensore – che ha accesso al materiale – può chiedere ulteriori acquisizioni, magari di comunicazioni ritenute irrilevanti dalle autorità, ma che potrebbero invece scagionare l’indagato.
Tutte le informazioni – registrazioni, verbale e annotazioni – vengono poi trasmesse al pubblico ministero e sono custodite oggi in un archivio riservato per evitare eventuali fughe di notizie. Un atto è infatti coperto dal segreto di indagine fino a quando l’indagato non ne viene a conoscenza e fino al 2020, quando questo materiale veniva direttamente depositato alla segreteria del pubblico ministero e veniva quindi avvisata la difesa dell’indagato, il suo contenuto era pubblicabile. Oggi finché resta nell’archivio riservato, resta segreto: è solo dopo un’udienza stralcio dove si decide quali telefonate acquisire e se ne dispone il deposito che diventano pubblicabili.
Perché finiscono sui giornali
“Forse il vulnus in questo momento sta nel fatto che ci sono delle intercettazioni che, per garanzia degli indagati, vengono depositate quasi integralmente. Ci dovrebbe essere da parte del giudice delle indagini preliminari lo stralcio delle conversazioni irrilevanti ai fini del procedimento”, dice Mandoi. La principale criticità è nella mole di ore registrate: “Lei non ha idea però di che volumi siano sei mesi, un anno o due di intercettazioni. Provi a immaginare la sua vita al telefono se qualcuno dovesse intercettarla per due anni”, spiega l’ex pm, che aggiunge: “Quello che può essere considerato rilevante dalla polizia può essere inoltre irrilevante processualmente e viceversa. Fare una selezione è davvero impegnativo e non dovrebbe essere lasciato ad altri, dovrebbe essere effettuato direttamente dal giudice, si immagini se è possibile”.
Le intercettazioni preventive
Secondo Mandoi piuttosto che le intercettazioni ordinarie, che definisce “essenziali”, a essere “pericolose” sono piuttosto quelle preventive, che “non vengono esaminate da un giudice, né da un pubblico ministero”, “perché non c’è una notizia di reato e non vengono depositate a conoscenza dei difensori” e che non possono quindi essere utilizzate processualmente. Previste dall’art 226 delle disposizioni di attuazione del Cpp, hanno per fine quello di sventare la commissione di una serie di reati (art. 407 Cpp): “Delitti di devastazione, saccheggio e strage, delitti di guerra civile, omicidio, rapina, estorsione, sequestro di persona con e senza associazione mafiosa, finalità di terrorismo. Quelli per i quali è prevista la durata delle indagini preliminari a due anni”.
Vengono richieste dal ministro dell’Interno o dai responsabili dei Servizi segreti, dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza in genere al procuratore della Repubblica del tribunale del capoluogo del distretto dove si trova il soggetto da mettere sotto controllo o dove potrebbe avvenire il reato. Nel caso dei Servizi, vengono disposte dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, che ne conserva gli atti. “Dovrebbero essere distrutte entro un termine dalla conclusione, salvo che i Servizi che hanno chiesto l’autorizzazione non chiedano che vengano conservate per un certo periodo di tempo. Con la possibilità che ci restino a tempo indeterminato, perché nessuno ne conosce l’esistenza”.
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