Svolta del TAR Lazio: Sì all’indennità di trasferimento per i militari di ritorno dalle ambasciate se la sede non è quella originaria
(di Avv. Umberto Lanzo) – Immaginate di servire il vostro Paese all’estero presso le addettanze militari o le ambasciate per 3/4 anni, accumulando un bagaglio di esperienze importanti e competenze uniche, solo per tornare e scoprire che la vostra ricompensa al rientro in patria è un trasferimento non richiesto e non indennizzato. Sembra uno scherzo di cattivo gusto? Per molti militari italiani per un decennio, questa è stata la realtà… fino ad ora. Un paradosso che una recente sentenza del TAR Lazio ha portato alla luce accogliendo il ricorso di due carabinieri.
I dettagli del contenzioso
Il caso in questione riguarda un vice brigadiere e un appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, che hanno prestato servizio per alcuni anni presso rappresentanze diplomatiche all’estero. Al termine della loro missione, nonostante avessero espresso preferenze per sedi di servizio nella provincia di Lecce, sono stati assegnati a Bari. I ricorrenti hanno sostenuto che questo spostamento costituisse un “trasferimento d’autorità“, poiché li portava in una sede diversa non solo da quella richiesta, ma anche da quelle in cui prestavano servizio prima della missione all’estero (rispettivamente Roma e Taranto).
Il nodo giuridico
La questione centrale del contenzioso ruotava intorno all’interpretazione della normativa vigente, in particolare della legge n. 86 del 2001 e delle successive modifiche introdotte dalla legge n. 183 del 2011. Quest’ultima aveva infatti escluso il personale impiegato all’estero presso rappresentanze diplomatiche dalla corresponsione dell’indennità di trasferimento al rientro in patria. Tuttavia, il TAR Lazio ha offerto un’interpretazione innovativa di queste disposizioni, sostenendo che l’esclusione si applichi solo nei casi in cui il personale rientri nella stessa sede di servizio precedente all’impiego all’estero.
Il fulcro della sentenza del TAR Lazio si cristallizza in un passaggio chiave che chiarisce l’interpretazione della normativa vigente: “Non si hanno motivi per dubitare che la nuova disciplina introdotta dalla legge in esame nonché dalla legge n. 190 del 2014 non possa che riferirsi ai casi in cui il personale rientri nella sede in cui prestava servizio in epoca antecedente all’impiego all’estero, pena la facoltà per l’Amministrazione di determinare – senza limitazione alcuna – la sede a cui destinare il personale, in esito al rientro dall’estero.”
Questa statuizione delinea con precisione i confini entro i quali l’Amministrazione può esercitare la propria discrezionalità nei trasferimenti del personale di ritorno da missioni all’estero.
La motivazione della sentenza
Il Collegio giudicante ha ritenuto che, nel caso specifico, fossero riscontrabili gli elementi fondamentali per configurare un trasferimento d’autorità, dato che vi era stata una effettiva modificazione dell’ordinaria sede di lavoro dei ricorrenti. La sentenza ha sottolineato che il servizio all’estero è di natura temporanea e provvisoria ed il successivo spostamento in una sede diversa da quella originaria al rientro in Italia costituisce a tutti gli effetti un nuovo trasferimento, con le conseguenti implicazioni economiche.
Il Tar ha dunque accolto il ricorso presentato dai due carabinieri riconoscendo loro il diritto a percepire l’indennità di trasferimento ai sensi della legge n. 86 del 2001 e la conseguente condanna alla corresponsione dei relativi importi, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Un’esperienza unica e strategica
Quella illustrata nella sentenza è prassi consolidata, non solo per i carabinieri, ma per tutti gli appartenenti alle Forze Armate, che, al rientro da un incarico presso le le Rappresentanze Diplomatiche all’estero, subiscono un trasferimento rispetto alla sede di servizio originaria. Le competenze accumulate durante il mandato spaziano dalle relazioni diplomatiche alle tecniche di raccolta informazioni, dalla sicurezza agli aspetti geopolitici e militari locali e dovrebbe rappresentare un patrimonio inestimabile per il sistema di difesa e intelligence italiano. Tuttavia, al rientro in patria, questo bagaglio di esperienze è evidentemente disperso, creando una perdita significativa per l’intero apparato di sicurezza nazionale.
Il paradosso del rientro
Un paradosso organizzativo emerge con nitidezza: al rientro dalle missioni estere, i Carabinieri si ritrovano spesso confinati nelle centrali operative in realtà diverse da quella originaria, mentre i militari delle altre Forze Armate vengono sistematicamente dirottati verso gli uffici della Capitale. Una gestione che non riesce a capitalizzare né sulle competenze precedentemente acquisite, né sul bagaglio di conoscenze maturato oltreconfine. Un approccio che disperde l’expertise conquistato e mina la motivazione di coloro che hanno servito il Paese in contesti internazionali a volte anche complessi.
Gestione del personale o contrappeso discutibile
Questi provvedimenti, pur avendo probabilmente una ratio amministrativa, rischiano di essere percepiti come una forma di rivalsa malcelata. Si potrebbe ipotizzare, senza voler attribuire intenzioni, che il trasferimento al rientro sia visto come una sorta di ‘contrappeso’ ai benefici goduti durante il servizio all’estero. Tuttavia, una simile interpretazione, se fosse fondata, rappresenterebbe un approccio miope alla gestione del personale, che non tiene conto del valore aggiunto portato dall’esperienza internazionale e confonde il risentimento con la giustizia e la punizione con la gestione del personale.
Il boomerang amministrativo
La sentenza del TAR Lazio che abbiamo riportato potrebbe aprire la strada a una serie di ricorsi che, con un approccio più pragmatico e buon senso, si sarebbero potuti evitare. La soluzione, per il futuro, appare semplice: o si mantiene il personale nella sede di servizio precedente, o si riconosce l’indennità di trasferimento al rientro.
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