SOLDATI «INVISIBILI» E ARMI HI TECH: MANGUSTA 2018, L’ESERCITAZIONE DELLA FOLGORE CON I PARÀ USA
L’importante esercitazione, svoltasi nella campagna toscana, ha coinvolto oltre mille uomini, simulando l’intervento di una forza Nato in aiuto di un paese amico in un ipotetico stato dell’Africa dove c’è una crisi legata al controllo di risorse idriche. Riportiamo l’articolo di Guido Olimpio per il Corriere.it.
AMPUGNANO (Siena) – Arrivi ad una ventina di metri e vedi solo una macchia di arbusti su un terreno rossiccio. Cammini ancora qualche passo fino ad un cespuglio più fitto degli altri. Lo superi senza accorgerti di nulla, ma hai lasciato alle tue spalle, sotto un groviglio di rami, una postazione. Un punto che nasconde parà italiani e militari americani incaricati di sorvegliare, a distanza, le linee nemiche. Altri team sono sparpagliati tra boschi e colline nella magnifica campagna senese, tutti parte di Mangusta 2018, importante esercitazione della Brigata Folgore preparata per cinque lunghi mesi.
La postazione
Gli «esploratori» lavorano «in doppio». Loro spiano i movimenti e passano le informazioni ad una seconda postazione poco più lontana, anche questa scavata con cura e ben mimetizzata: qui, soldati, dotati di apparati di comunicazione, rilanciano i dati. È importante che le vedette coprano le tracce, devono vedere senza essere scoperti. La terra rimossa è sparpagliata lontano in modo da fornire indizi a eventuali pattuglie avversarie. «In alcuni casi — spiega il generale Rodolfo Sganga, comandante della Folgore — tagliano il manto erboso in zolle che sono poi rimesse al loro posto una volta che la posizione è abbandonata». Anche l’accesso è invisibile, loro sono come «fantasmi». Addestramento e precisione sono la chiave di un reparto abituato a operare in condizioni difficili. I parà garantiscono una flessibilità nella risposta in combinazione con l’aviazione, rappresentata dalla 46esima Brigata aerea. Una proiezione strategica che li ha portati in missione in Afghanistan, Iraq, Libano sud, Kosovo, Niger, Lettonia, Libia, Norvegia e ovunque ci fosse bisogno.
Il piano
Mangusta 2018, con oltre mille uomini, ha simulato l’intervento di una forza Nato in aiuto di un paese amico, scenario con un dettaglio geografico interessante: non l’Est o il Nord Europa ma un ipotetico stato dell’Africa dove c’è una crisi legata al controllo di risorse idriche. Oggi fiumi, progetti di dighe, acqua sono importanti quanto il petrolio, anzi molto di più. E per difendere l’amico l’Alleanza ha inviato un dispositivo composto da diversi «assetti»: oltre ai parà, l’Aeronautica, l’aviazione leggera con i suoi Dornier 228 per lanciare gli assaltatori, gli elicotteri da trasporto Chinook e quelli d’attacco Mangusta, elementi del Tuscania, del Reggimento per la guerra elettronica, Granatieri di Sardegna e unità statunitensi della 1-91 Cav (173esima Airborne Brigade) e della Air National Guard. Cambiano i teatri ma le «note» restano: integrazione, operazioni comuni, scambio di tecniche. «Lavoriamo insieme sotto una catena di comando unica. Loro muovono ai nostri ordini e viceversa. Una collaborazione che si spinge fino a piccoli team», sottolinea il generale Sganga. E lo dice dopo aver «provato» personalmente i quadranti afghano e libanese, zone dove servono professionalità e buon senso. Un sentiero ripetuto. In passato nuclei di nostri parà, con capacità specifiche utili all’Us Army, sono stati trasferiti a Fort Bragg, in Nord Carolina, quindi si sono imbarcati su un C17 per poi essere lanciati insieme ai colleghi statunitensi in Europa. Un legame di inter-operabilità con il Pentagono costruito nel tempo, rapporto dove la logistica americana può estendere il braccio operativo di partner che portano in dote le loro specialità. Gli italiani, in alcuni settori, ne hanno.
Le tattiche
La Folgore — come ha spiegato il «direttore» dell’esercitazione, Beniamino Vergori, colonnello che unisce meticolosità e conoscenza alla calma dei forti — ha liberato un aeroporto finito in mano degli «ostili» con aviolancio e infiltrazioni eseguite anche con una componente fluviale, a bordo di gommoni. Quindi sabotaggio delle linee logistiche, agguati a convogli e complessi rifornimenti per dare tempo alla testa di ponte di resistere. Uno schema di conflitto vero e non più limitato al contrasto di insorti o guerriglieri. Una scelta parte di altre esercitazioni Nato dove c’è da battersi contro forze convenzionali, con armamenti che vanno oltre il semplice fucile o il pick up con mitragliera anti-aerea. Un segno di tempi dove è necessario mantenere un alto livello di sicurezza perché le sfide si sono moltiplicate, con un intreccio di aspetti strategici ed economici. L’arco che dall’area baltica porta fino a Est, poi a sud la Libia, il Vicino Oriente e lo stesso Mediterraneo, tutti quadranti che contano per l’Italia. E molto.