Esercito

Sergente assolto dopo 12 anni per un bacio “rubato” ad una commilitona. “Non è reato”

“Assolto perché il fatto non costituisce reato“. La corte d’Appello ha così modificato la sentenza di primo grado con cui il tribunale di Brescia aveva condannato a 8 mesi e 24 giorni di reclusione un sergente degli alpini, Nicola Musto, per avere baciato una commilitona allora diciannovenne l’11 luglio del 2007 quando su una jeep stavano svolgendo un’ispezione della polveriera di Ome.

“Mi diceva che ero bellissima – aveva raccontato la ragazza in aula spiegando però di ricordare poco di quel giorno – Il giorno prima mi aveva accompagnato in farmacia per acquistare una crema e mi aveva detto che avrebbe voluto spalmarmela lui.

Poi quando eravamo sull’auto mi aveva detto che voleva baciarmi. Sono rimasta in silenzio e mi sono girata verso il finestrino. Allora mi ha abbracciata e baciata sul collo“. La difesa del militare aveva invece sostenuto che l’allora soldatessa semplice avesse “sollecitato” Musto.

Per la pubblica accusa la donna aveva cercato di respingere le avances del superiore senza però riuscirci. L’udienza di martedì è stata solo l’ultima di una lunghissima vicenda iniziata 12 anni fa e che ora potrebbe finalmente intravedere la fine. La ragazza, che non ha mai denunciato il superiore, aveva raccontato l’episodio in caserma e quindi al proprio caporale che aveva messo in moto la magistratura.

La vicenda era approdata davanti alla procura militare di Verona che aveva assolto il sergente. Poi era stato il turno della giustizia ordinaria. Musto, oggi 42enne, per quel bacio schioccato sul collo della soldatessa nel 2009 aveva patteggiato 14 mesi salvo poi far ricorso in Cassazione.

La Corte Suprema aveva “ritenuto insussistente il reato” e annullato la pena. Era così stato disposto nel 2013 un nuovo processo che si era concluso con una nuova condanna, questa volta a un anno e 8 mesi di reclusione.

La difesa del militare di origine campana in appello aveva però sollevato l’eccezione del “legittimo impedimento” poiché l’imputato non era presente in aula per malattia e i giudici di secondo grado l’avevano accolta facendo tornare il processo nuovamente al via. Nel febbraio di un anno fa la prima sezione penale del tribunale di Brescia aveva nuovamente condannato l’alpino: 8 mesi e 24 giorni la pena che gli era stata inflitta.

Se rifiutare la corte è un diritto, provarci non è un reato. Non sempre, almeno per i giudici della Corte d’Appello di Brescia, che ieri hanno assolto il sergente dell’Esercito in servizio a Brescia all’epoca dei fatti.

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