Sei mesi al comandante della polizia locale in divisa militare nazista
Sei mesi di reclusione , 250 euro di multa e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, con la pena sospesa. E’ la condanna inflitta dal Tribunale di Monza per apologia al fascismo a Giorgio Piacentini, nel 2017 comandante della polizia locale di Biassono. Era il 6 gennaio di quell’anno quando Piacentini ha pubblicato su Facebook un post con la sua foto in divisa da militare nazista delle SS, con il contestato commento fatto a chi ironicamente gli aveva chiesto se quella che indossava fosse la nuova divisa di servizio “Basterebbe una compagnia di questi per sistemare alcune cose, adesso propongo al sindaco di adottarla”.
“La mia immagine in divisa da militare delle SS l’ho postata su Facebook perchè uno dei miei vigili mi aveva chiesto di fargli vedere una delle mie uniformi per le rievocazioni storiche – si era giustificato Piacentini – Il commento si riferiva alla grave situazione della polizia locale di Biassono che ho acquisito nel 2014 quando sono diventato comandante, con balletti sulla scrivania, agenti che non ascoltavano quello che dicevo e si rifiutavano di svolgere alcuni servizi per questioni sindacali. Intendevo dire che gli agenti erano poco consoni alla disciplina, mentre l’uniforme va rispettata ed è storicamente noto che i soldati tedeschi sono noti per la loro disciplina”.
Una spiegazione che non aveva convinto la Procura che ne aveva chiesto la condanna a 1 anno di reclusione. “Il commento potrebbe essere considerato una battuta senza pericolo concreto – ha sostenuto il pm Michele Trianni – ma perchè sussista l’apologia al fascismo basta la divulgazione ed esaltazione in pubblico di manifestazioni legate al partito fascista. E’ chiaro che l’imputato fosse al corrente del significato di quello che faceva, visto che è un esperto di rievocazioni storiche. Non ho dubbi che Piacentini non sia un agitatore dell’estrema destra, che il suo intendimento fosse legato alla sua passione per la rievocazione storica e che la vicenda sia legata al fatto degli agenti che ballavano in mutande sulle scrivanie, però resta la percezione da parte di terzi sulla divisa indossata, che non è una divisa qualunque e quindi resta l’associazione indiscutibile con quelli che furono i princìpi delle leggi razziali”. La difesa aveva invece chiesto l’assoluzione: “Manca la concreta condotta di propaganda verso un vasto pubblico con lo scopo di istigare – ha sostenuto l’avvocato Carlo Alberto Pirro – L’imputato ha ammesso di essere stato superficiale, ma rischia di vedersi rovinare la vita per la leggerezza di un gesto innocuo”.