Rifiutare l’esibizione dei documenti alla polizia è reato: la Cassazione fa chiarezza su un punto controverso
(di Avv. Umberto Lanzo) – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8356/2022, ha stabilito un importante principio in tema di rifiuto di esibizione del documento di identità nei confronti di un pubblico ufficiale.
I giudici della Suprema Corte, infatti, hanno precisato che il rifiuto di consegnare il proprio documento di riconoscimento ad un pubblico ufficiale che lo richieda nell’esercizio delle proprie funzioni, integra il reato previsto dall’art. 221 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS).
Il caso trae origine dalla condanna in primo e secondo grado di un soggetto che, fermato per un controllo da due carabinieri in borghese presso un esercizio pubblico, aveva rifiutato di consegnare loro un documento d’identità, nonostante i militari si fossero qualificati esibendo il tesserino.
Il giudice di merito aveva ritenuto integrati gli estremi del reato previsto dall’art. 651 del codice penale (rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale), condannando l’imputato alla pena di 150 euro di ammenda.
Il caso di rifiuto di esibizione del documento
La Cassazione ha però corretto tale qualificazione giuridica, affermando che nel caso di specie risultano violati l’art. 294 del R.D. n. 635/1940 e l’art. 221 TULPS.
L’art. 294 del regolamento di pubblica sicurezza impone infatti l’obbligo di esibire il proprio documento di riconoscimento ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza. La violazione di tale obbligo è punita dall’art. 221 TULPS con l’arresto fino a due mesi o ammenda fino a 103 euro.
Di conseguenza, il rifiuto di consegnare i propri documenti su richiesta degli agenti non integra il reato di cui all’art. 651 c.p. (rifiuto di generalità), ma quello specifico previsto dalla normativa di pubblica sicurezza, ritenuto più grave dal legislatore.
La distinzione con il rifiuto di fornire le generalità
Si tratta di un principio già affermato dalla Cassazione in altre recenti pronunce, che distingue tale fattispecie dal semplice rifiuto di declinare le proprie generalità. In quel caso, infatti, la persona non è tenuta a comprovare documentalmente la propria identità.
Diversamente, il rifiuto di esibire il documento di riconoscimento su richiesta del pubblico ufficiale integra un’autonoma violazione, anche quando le generalità siano state correttamente fornite.
La Suprema Corte conferma dunque un orientamento restrittivo, volto a rafforzare i poteri della polizia giudiziaria e il dovere di collaborazione dei cittadini quando ne venga fatta richiesta per motivi di controllo e accertamento.
La pronuncia ribadisce inoltre che in caso di dubbi sulla legittimità della richiesta, la persona è tenuta comunque a ottemperare e potrà eventualmente contestarla in seguito in sede giurisdizionale.
Il rifiuto ingiustificato espone quindi a responsabilità penali, oltre a comportare ulteriori rischi collegati al potenziale status di “sospetto” che ne consegue da parte delle forze dell’ordine.
Tre differenti fattispecie
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha fatto chiarezza su un aspetto molto rilevante per l’attività degli operatori di polizia, ovvero le conseguenze penali del rifiuto di esibire i documenti d’identità su richiesta. I giudici supremi hanno distinto tre diverse fattispecie, ciascuna regolata da una specifica disciplina normativa.
In particolare, il rifiuto di consegnare il proprio documento di riconoscimento a un pubblico ufficiale che lo richieda nell’esercizio delle sue funzioni, integra il reato previsto dagli articoli 221 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza e 294 del relativo Regolamento.
Diversamente, l’omissione di dotarsi di un documento d’identità da parte di un soggetto ritenuto pericoloso o sospetto, sarà punita ai sensi dell’articolo 17 TULPS, disposizione più severa rispetto alla precedente.
Infine, il semplice rifiuto di fornire le proprie generalità su richiesta del pubblico ufficiale, senza quindi la necessità di esibire materialmente i documenti, è sanzionato dall’articolo 651 del codice penale, per la minore gravità del fatto.
In conclusione, la sentenza della Cassazione chiarisce un punto controverso, ma di grande interesse pratico per l’attività degli operatori di polizia, rafforzando i loro poteri di accertamento dell’identità personale nei confronti dei cittadini.
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