Ricalcolo TFS per inclusione dei 6 scatti stipendiali a Militari e Forze di Polizia. L’Inps non applica la normativa
I sei aumenti periodici di stipendio riconosciuti in favore dei lavoratori appartenenti al comparto difesa e sicurezza determinano un aumento della misura dell’assegno pensionistico. Oggi ci occupiamo della mancata inclusione dei sei scatti stipendiali di cui all’art.6-bis del D.L. n.387 del 1987 nel calcolo del Trattamento di Fine Servizio.
COSA SONO I “SEI SCATTI”
In base all’art. 4, del Dlgs 165/1997, al personale delle Forze Armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare o civile (Esercito, Marina, Aeronautica, Arma dei Carabinieri, Corpo della Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria e Corpo Forestale dello Stato) sono attribuiti sei aumenti periodici in aggiunta alla base pensionabile, calcolati all’atto della cessazione dal servizio per qualsiasi causa determinata utili ai fini della determinazione della misura del trattamento pensionistico e della buonuscita. Tali aumenti periodici della base pensionabile incidono in maniera differente sull’ammontare del trattamento di quiescenza e sulle modalità di versamento del relativo contributo, a seconda del sistema di calcolo pensionistico applicabile all’interessato, retributivo, misto e contributivo puro e si aggiungono a qualsiasi altro beneficio spettante. Si rammenta che l’istituto in questione non trova applicazione nei confronti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
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Per le anzianità maturate a decorrere dal 1.1.1996 (o dal 1.1.2012 per coloro in possesso di più di 18 anni di contributi al 31.12.1995) l’istituto dei sei scatti periodici viene trasformato in un incremento figurativo pari al 15% dello stipendio su cui opera la misura ordinaria della contribuzione
Al riguardo l’Inps ha confermato che l’imponibile soggetto alla maggiorazione figurativa del 15% corrisponde allo stipendio parametrato (cioè sui valori stipendiali correlati ai livelli retributivi, indennità integrativa speciale, sui cd. benefici di infermità previsti dall’articolo 3 della legge 539/1950, sull’importo relativo alla retribuzione individuale di anzianità nonchè sull’indennità di vacanza contrattuale e sull’eventuale assegno ad personam. I sei scatti non si applicano, invece, sull’assegno funzionale.) e che su tale maggiorazione si applica l’aliquota pensionistica complessiva attualmente in vigore e pari al 33% (di cui 8,80% a carico del dipendente e 24,20% a carico del datore di lavoro), oltre allo 0,35% a titolo di Fondo Credito.
A CHI SPETTA
I sei scatti stipendiali devono essere computati nella determinazione della misura del TFS quando la cessazione dal servizio sia avvenuta per le seguenti cause: per il raggiungimento del limite di età; per permanente inabilità al servizio; per decesso; a domanda, qualora al momento della stessa siano stati compiuti i 55 anni di età congiuntamente ai 35 anni di servizio utile.
Nonostante quanto previsto dalla normativa, l’INPS non applica i sei scatti stipendiali al momento della liquidazione del TFS quando la cessazione dal servizio avviene a domanda, pur in presenza dei requisiti anagrafici e di servizio previsti. Quindi la mancata inclusione dei sei scatti per il calcolo del TFS riguarda il personale andato in pensione a domanda con i 55 anni di età e il 35 anni utili di servizio.
Relativamente a questo caso è intervenuto il Consiglio di Stato che, con la sentenza n.1231 del 2019, ha dichiarato che anche al personale che cessa dal servizio per anzianità con un’età di 55 anni e 35 di servizio effettivo, spettano i 6 scatti sul TFS.
LA SENTENZA
Consiglio di Stato, Sez. III, Sent. n. 1231 del 21/2/2019
La Sezione III del Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 1231 del 22/2/2019, si è pronunciata sul ricorso proposto dal Prefetto di Bari avverso la determina INPDAP recante la liquidazione del trattamento di fine servizio, nella parte in cui ha omesso di computare nella base di calcolo i sei scatti stipendiali ai sensi dell’art. 6 bis d.l. n. 387/1987, rigettato dal T.A.R., il quale ha posto a fondamento della decisione la mancata inclusione dei sei scatti stipendiali nell’elenco delle voci computabili ai fini della liquidazione dell’indennità di cui si tratta, contenuto nell’art. 38 d.P.R. n. 1032/1973, nonché la non applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio del citato art. 6 bis d.l. n. 387/1987, concernente il personale “cessato dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto”, laddove il dott. Sc. è stato collocato a riposo per il raggiungimento del massimo di anzianità contributiva
Il ricorrente censura i diversi profili motivazionali della sentenza appellata, compreso quello, avente carattere autonomo ed autosufficiente, incentrato sulla non applicabilità dell’art. 6 bis d.l. n. 387/1987, deducendo che la norma concerne, ai sensi del secondo comma, anche “il personale che chiede di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e 35 anni di servizio utile”.
Tale beneficio reclamato dalla parte appellante rinviene il suo fondamento normativo nel disposto dell’art. 6 bis D.L. n. 387/1987, ovvero in una disposizione successiva a quella recata dall’art. 38 D.P.R. n. 1032/1973 e dotata, nei confronti di quest’ultima, dei ogni coerente effetto integrativo.
Quanto poi al rilievo, contenuto nella sentenza appellata, secondo cui l’art. 6 bis D.L. n. 387/1987 sarebbe applicabile al solo personale “cessato dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto”, laddove l’appellante è stato collocato a riposo dal Ministero dell’Interno per il raggiungimento del massimo di anzianità contributiva, deve solo evidenziarsi, in senso contrario, che la situazione dell’appellante si attaglia perfettamente alla fattispecie contemplata dal secondo comma, a mente del quale “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile”.
Né la pretesa di parte appellante potrebbe trovare ostacolo, come prima facie ipotizzato con la citata ordinanza istruttoria, nel disposto di cui al secondo periodo del medesimo comma 2, ai sensi del quale “la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell’anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità”, evincendosi dal provvedimento di collocamento a riposo del dott. Sc. che la relativa istanza è stata presentata il 31 gennaio 2011, allorquando cioè, avendo l’appellante compiuto i 62 anni di età e maturato oltre 42 anni di anzianità contributiva, era stato ormai superato lo sbarramento temporale suindicato.
Basti osservare, al fine di escludere ogni effetto decadenziale a carico dell’appellante, che l’art. 3 bis D.L. n. 387/1987, nell’estendere ai dirigenti della carriera prefettizia i benefici de quibus alla condizione che si tratti di personale “che cessi dal servizio nelle condizioni previste dai commi 1 e 2”, fa testuale riferimento ai presupposti sostanziali per il riconoscimento del beneficio de quo (ergo, alle categorie di personale cui esso è destinato), piuttosto che alle relative condizioni procedimentali: ciò in quanto il rinvio alle “condizioni”, che al suddetto fine devono sussistere al momento della cessazione dal servizio, allude appunto allo status soggettivo (anagrafico e previdenziale) dell’interessato, piuttosto che agli oneri procedimentali da osservare per l’acquisizione del beneficio de quo al suo patrimonio giuridico.
In ogni caso, proprio l’ambiguità della disposizione, evidenziata dai rilievi appena formulati, non consente di far discendere, dal mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di collocamento in quiescenza di cui al citato art. 6 bis, comma 2, secondo periodo D.L. n. 387/1987, alcuna conseguenza decadenziale, la quale presuppone evidentemente la chiarezza e perspicuità dei relativi presupposti determinanti.