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RENZI: «ORA NON È TEMPO DI AZIONI MILITARI CONTRO L’ISIS»

(di Marco Conti) – Non
è il momento per un’azione militare
: Matteo Renzi frena
sull’ipotesi di un intervento in Libia dopo tre giorni di minacce dei jihadisti
contro l’Italia e «il ministro crociato» Gentiloni, che venerdì aveva affermato
che l’Italia è «pronta a combattere» in un quadro di legalità internazionale.


«La visione del governo è una sola e tutti la condividono», ha assicurato il
premier, invitando alla «saggezza» e avvertendo che sulla Libia «non si può passare dall’indifferenza
all’isterismo»
. La proposta è «aspettare il Consiglio di sicurezza Onu».
Renzi ha fatto sentire la sua voce mentre gli F-16 egiziani in coordinamento
con i caccia libici martellavano le postazioni dell’Isis e di Ansar al Sharia a
Derna e Sirte: il bilancio, secondo i militari libici fedeli al governo
legittimo, costretto a riunirsi a Tobruk, è di almeno 64 combattenti uccisi.
Ma altri 35 egiziani sarebbero
stati rapiti, e dopo la barbara uccisione dei 21 copti su una spiaggia libica
si teme la loro sorte sia già segnata.
Il Cairo, assieme a Parigi, preme per una riunione urgente del Consiglio di
sicurezza dell’Onu: il presidente Abdel Fattah al Sisi ha fatto della Libia una
delle priorità del suo governo. E già in estate ha elaborato un piano per la
stabilizzazione del Paese, in concorso con le altre nazioni confinanti, Algeria
in testa. Ma al Palazzo di Vetro, almeno per il momento, il progetto non ha
ottenuto luce verde. La Francia tira le fila del negoziato, e una riunione
urgente potrebbe tenersi già mercoledì. L’esito potrebbe essere quello della
nascita di una coalizione specifica per la Libia.

La situazione è stata al centro della lunga telefonata tra Sisi e Renzi, che
hanno valutato i passi politico-diplomatici, «nel quadro del Consiglio di
sicurezza Onu» per riportare pace e sicurezza nel Paese. La linea di Roma – il
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni riferirà mercoledì mattina alla Camera –
resta quella di puntare su un dialogo e un negoziato tra le due principali
fazioni rivali, le milizie filo-islamiche al potere de facto a Tripoli e il
Parlamento di Tobruk, eletto a giugno. Il
ministro della Difesa Roberta Pinotti, che giorni fa aveva giudicato «urgente»
l’intervento militare e evocato una disponibilità a schierare 5.000 soldati, ha
sottolineato oggi che bisogna mettere intorno a un tavolo «i soggetti
moderati».

Il ministro ha poi paventato il
pericolo che la «Libia diventi una nuova patria del Califfato. Pensate che
succederebbe con un territorio così ampio in mano alle forze del male». Proprio
su questo fronte, e sul rischio di una Libia ‘somalizzatà ponte per attacchi
all’Europa, Renzi raffredda gli animi: «Quando
sento ‘o interveniamo o ci sono attentatì vorrei ricordare che gli attentati in
Ue sono di figli di cittadini europei. Non voglio sottovalutare i problemi in
Libia o in Siria, ma la realtà è più complessa dei nostri slogan
», ha
osservato.
Il collega libico Abdullah al
Thani aveva chiesto «alle potenze mondiali di sostenere la Libia e
intraprendere azioni militari, o questa minaccia (l’Isis) si sposterà nei Paesi
europei, in particolare l’Italia». In ambito diplomatico, l’Onu, per bocca
dell’inviato speciale Bernardino Leon, è tornata a invitare le parti a formare
«un governo di unità nazionale». Leon chiede lo stop ai combattimenti e
l’impegno contro l’espansione dei gruppi terroristici. «Con la determinazione e
la perseveranza – ha detto – la Libia ha ancora la chance di sconfiggere la
guerra e il terrorismo».

È difficile comprendere se la
via diplomatica abbia effettivamente una possibilità di riuscita. I militari
filo-governativi libici sembrano intenzionati a chiudere la partita non solo
con l’Isis e Ansar al Sharia, ma anche con i miliziani dell’Operazione Alba
(Fajr Libya), al potere de facto a Tripoli, e bollati dal Parlamento di Tobruk
come «terroristi». I miliziani, dal canto loro, hanno definito Sisi un
«terrorista» e condannato i bombardamenti su Derna. Al Thani ha spiegato che
«il dialogo è l’unica strada per salvare la Libia» ma che «i colloqui devono
partire dalla constatazione che il Parlamento è l’unica assemblea legittimata,
questa è la nostra linea rossa». E ha
avvertito che «se il dialogo fallisce, c’è un’altra opzione, l’uso della forza
militare».
Una terminologia che sa più di ultimatum che di apertura ai
rivali di Tripoli e che arriva proprio nel quarto anniversario dall’inizio
della rivoluzione contro Muammar Gheddafi, il 17 febbraio 2011.

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