PREITI, PERIZIA PSICHIATRICA: SPARO’ AI CARABINIERI A PALAZZO CHIGI MA NON E’ UN PAZZO
ROMA – Capace di intendere e di volere, in cerca di un palcoscenico, consumatore di cocaina e assuntore di alcol, frequentatore assiduo di “seratine” con amici.
Chi sia veramente Luigi Preiti, l’attentatore di Palazzo Chigi, l’uomo che con una Beretta 7,65 ha sparato sei colpi contro tre carabinieri, nel giorno del giuramento del governo Letta, forse non si saprà mai. Però quanto emerge dalla perizia psichiatrica disposta dal gup Filippo Steidl, lo scorso ottobre, sembra tracciare un quadro molto diverso da quello che questo cinquantenne di Rosarno, ha cercato di dare ai pm Pierfilippo Laviani e Antonella Nespola. «Volevo fare un gesto eclatante – si era giustificato – Volevo colpire i politici. Sono disoccupato, ho una figlia, e mi vergognavo perché non potevo offrirle niente di buono».
Chi sia veramente Luigi Preiti, l’attentatore di Palazzo Chigi, l’uomo che con una Beretta 7,65 ha sparato sei colpi contro tre carabinieri, nel giorno del giuramento del governo Letta, forse non si saprà mai. Però quanto emerge dalla perizia psichiatrica disposta dal gup Filippo Steidl, lo scorso ottobre, sembra tracciare un quadro molto diverso da quello che questo cinquantenne di Rosarno, ha cercato di dare ai pm Pierfilippo Laviani e Antonella Nespola. «Volevo fare un gesto eclatante – si era giustificato – Volevo colpire i politici. Sono disoccupato, ho una figlia, e mi vergognavo perché non potevo offrirle niente di buono».
CAPACE DI INTENDERE
Puntando alla non processabilità, durante l’udienza preliminare i suoi difensori hanno chiesto di verificare il suo stato mentale e il giudice ha dato l’incarico allo psichiatra Piero Rocchini. Il risultato fa emergere un Preiti diverso e riporta a galla aspetti rimasti sempre misteriosi in questa vicenda: chi gli ha dato l’arma con la matricola abrasa? C’è un disegno dietro il suo gesto? Di certo c’è che «al momento del fatto – scrive il medico nelle sue conclusioni – l’imputato presentava un modesto disturbo depressivo. Tali componenti non avevano rilevanza psichiatrica forense e dunque per le loro caratteristiche e intensità non incidevano in modo significativo sulla sua capacità di intendere e di volere. Non vi è nulla che possa far dubitare della sua piena capacità di intendere e volere al momento dei fatti». Preiti cosciente, dunque, mentre impugnava la Beretta e faceva fuoco contro tre carabinieri. Non avrebbe, poi, avuto alcuna intenzione di suicidarsi. Rocchini sottolinea: «La spinta suicidaria sembra essersi fermata a livello di pensiero senza alcun reale tentativo di messa in pratica. L’uomo mostra caratteristiche di personalità con larvata costante conflittualità nei confronti dell’ambiente (soprattutto “classe politica”, “Stato” e i suoi rappresentanti). Anziché un autentico desiderio di morte, si rileva una “aggressiva ricerca” di riconoscimento pubblico, con l’immaturo desiderio di trasformarsi in una sorta di eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto».
ALCOL E DROGA
Ci sono, poi, anche altri aspetti che rivelerebbero una personalità diversa da quella che Preiti ha tentato di fornire: abitudine al consumo di alcol e cocaina, fattori che lo predisponevano a passare belle serate. È lui stesso a raccontarlo allo psichiatra: «La cocaina mi faceva parlare, stare bene, pensavo a divertirmi per partecipare al meglio alle mie “seratine”. Anche se la decisione di venire a Roma l’avevo presa prima di prendere la cocaina». Il sospetto nutrito ora dagli investigatori è che qualcuno lo abbia incitato a compiere quel gesto, e lo abbia anche armato. «Pur se in condizioni di difficoltà e frustrazione – sottolinea il perito – egli ha sempre mantenuto dall’arrivo in Calabria un buon funzionamento sociale (breve relazione con una donna del luogo, frequentazione pressoché quotidiana di un circolo di biliardo con partecipazione a una gara, costanti “seratine” con gli amici fino a poco prima della partenza per Roma) e lavorativo». L’imputato sembra non avere «alcun senso di colpa per quanto commesso». «L’aver scritto alle vittime dichiarando di “non avercela con i carabinieri” colpiti – è ancora la conclusione dello psichiatra – soprattutto se affiancato al desiderio espresso (“dovevo fare qualcosa di eclatante, la gente ne doveva parlare”) sembra dare a tutto questo una diversa valorizzazione: la volontà di conquistare e mantenere il centro del palcoscenico. Le lettere inviate a Giangrande (il carabiniere che ha lottato tra la vita e la morte, ndr) appaiono “strumentali”».
di Cristiana Mangani